La produzione europea di spazzatura composta da plastica, si aggira sui 26 milioni di tonnellate annue; nemmeno un terzo di questi scarti dannosissimi per l’ambiente arriva giustamente in discarica e non per forza per essere riciclato, mentre il resto di disperde generalmente in natura, spesso nei mari dove oramai le isole di plastica non sono più rarità da vedere, con il conseguente problema delle acque inquinate, per noi e per i pesci che poi mangiamo, e il dannoso impatto sull’ambiente e l’ecosistema (leggi al riguardo l’articolo: Acqua alla plastica). La plastica è evidentemente uno dei problemi maggiori di questo nostro secolo, che si spera sia affrontato finalmente con la giusta attenzione ed energia da tutti i paesi congiuntamente, anche perché le acque inquinate difficilmente poi rispettano i confini; per questo sempre più nazioni stanno mettendo al bando l’uso indiscriminato di questo dannosissimo materiale (leggi al riguardo l’articolo: La Costa Rica mette al bando la plastica usa e getta).
Mentre si cercano di continuo nuovi modi per riciclarla, la plastica viene sempre più spesso combattuta all’origine, sottolineando come il problema sia oramai culturale, in un consumismo che attribuisce una delle funzioni più importanti d’un prodotto al suo packaging o involucro, molto spesso inutile perché gettato immediatamente dopo l’uso del prodotto stesso. Cominciano in tutta Europa e nel mondo a comparire negozi che vendono prodotti senza imballaggi, o che comunque che facciano attenzione a non usare confezioni plastica, che poi ci mette secoli se non millenni a biodegradarsi (leggi al riguardo l’articolo: Ad Amsterdam un supermercato apre il primo grande reparto completamente plastic-free).
Alla ricerca di alternative eco-sostenibili alle plastiche che conosciamo, il team di ricerca sugli smart materials dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova ha sperimentato e brevettato diverse tecnologie che permettono, già da ora, di ottenere bioplastiche ecologiche che azzerano l’impatto ambientale, provenendo dagli scarti del mercato ortofrutticolo e risultando quindi completamente biodegradabili.
Ben sei sono i brevetti di materiali ottenuti dall’Istituto, riciclando interamente scarti vegetali, come resti di carciofo, carota, cavolfiore e via dicendo. Da questi scarti infatti, che potrebbero essere iniziati a raccogliere in maniera produttiva presso mercati e grandi superfici dove frutta e legumi vengono già abitualmente venduti, si ottiene una polvere che viene poi utilizzata come materia prima per produrre queste nuove e non inquinanti bioplastiche. Bioplastiche che potrebbero quindi essere prodotte in relazione al prodotto con il quale vengono poi vendute: se un prodotto è destinato a durare un mese, al termine di questi 30 giorni anche il prodotto con il quale viene imballato potrà quindi cominciare a biodegradabili; non come abitudine fin’oggi, dove per un prodotto che dura nemmeno una settimana si usa una confezione in Polietilene, il più semplice dei polimeri sintetici ed è la più comune fra le materie plastiche, che ci mette millenni a biodegradarsi.
Non ci resta che augurarci il meglio per questo innovativo brevetto e che queste tecnologie raggiungano in breve tempo processi di produzione su larga scala.