Quando guardò il forno per vedere che ore fossero, erano le ventidue e ventidue. Le dieci e venti di un giorno qualsiasi. Vista l’ora, fece come una piroetta su se stesso, come per tornare da dove era venuto, ma piroettò più del dovuto e, perdendo l’equilibrio, finì per abbattersi sul bancone. Bancone che, per la sua posizione, della cucina creava l’imboccatura per lo stretto passaggio verso cui si stava dirigendo.
Come digerendo, non solo quella giornata ma un’intera vita di merda, mandò giù quella schifezza che stava bevendo. Alcool scadente: un cocktail dei resti di bottiglia che aveva trovato in casa, per cercare di dimenticare che da nessuna parte, ma proprio da nessuna parte nemmeno nelle pieghe del divano, ci fosse anche solo una caccola di hascisc da fumare. Quindi, riassettandosi senza però riuscire a ottenere quella dignità che tanto avrebbe voluto mostrare, ma riuscendo comunque a non far cadere quel bicchiere, che oramai teneva saldo tra le mani come tenesse un neonato su una nave in balia della tempesta, barcollando e borbottando, si diresse verso il tavolo della sala da pranzo.
Lei era lì da un pò, che l’aspettava, come spesso accadeva la sera del resto, senza mostrare particolari segni d’impazienza o di nervosismo : era abituata ai quei comportamenti. Allungata incurante sulla tavola, sopra sparsi fogli bianchi e altri oggetti vari, semplicemente restava immobile a guardarlo.
Lui invece non parve quasi accorgersi di lei, nemmeno dei fogli e delle altre cose sulla tavola e, come un aereo costretto a un atterraggio di fortuna, atterrò quasi franando sulla sedia che aveva più vicina. Dopo un sospiro di sollievo esageratamente prolungato, come di qualcuno che voglia mostrarci la sua enorme stanchezza e il suo ancor più grande sollievo nel potersi finalmente risposare, appoggiato con fracasso il bicchiere sul tavolo, cominciò a guardarsi intorno.
Non si può dire che fosse ubriaco, questo no, ma sicuramente brillo, molto brillo, questo lo si pò dire e in tutta serenità. Ma se brilla una stella, può essere uno spettacolo per tutti; se brilla una bomba, può essere pericoloso per alcuni; il nostro protagonista, nonostante qualche riflesso di lucidità brillasse ancora in lui, lì spiaggiato su quella sedia, certo non poteva essere un bello spettacolo per nessuno, ma era però molto pericoloso, quantomeno per se stesso. Per come il livello alcoolico che aveva raggiunto quella sera avrebbe potuto influire sulla scelta delle parole da usare nel confessare a lei, che ancora immobile continuava a guardarlo di sottecchi, quello che proprio quella sera aveva deciso di dirle. E, forse, erano proprio tutte quelle cose che gli ronzavano in testa da troppo tempo, la ragione per cui, anche quella sera, aveva alzato un pò troppo il gomito.
Ma, indipendentemente dal fatto che siano stati i suoi pensieri a influire sul bere o meno, il nostro amico aveva deciso che non poteva più aspettare, che era arrivata l’ora di tirar fuori certi argomenti, e, senz’altro indugio, doveva esporle, chiaramente, nero su bianco, ciò che aveva da dirle.
Si comportava però come non sapesse dove rivolgere lo sguardo, guardandosi intorno con la circospezione di una persona appena arrivata in un luogo sconosciuto, come se non avesse avuto nessuno a cui indirizzare le sue parole : come se avesse la sensazione che quello che aveva da dire, in fin dei conti, non fosse poi così importante.
Lei invece, pur senza nessun accessorio eclatante, senza avere indosso alcun oro o argento o pietra preziosa che fosse, era attraente come sempre. Così elegante nella sua classicità, sinuosa come una pantera nera, indifferente a tutto quello che a lui poteva passare per la testa in quel momento, e, sopratutto, perché abituata da anni di convivenza, aspettava solo che lui cominciasse a rivolgerle l’attenzione che meritava, esponendole in fine quello che sarebbe stato solo il risultato finale di tutto quel suo rimuginare. Del resto poi era sempre così : lei che si trovava a giacere di fianco a lui, immobile e muta per un tempo indefinito, prima che lui decidesse d’esprimere il suo pensiero; ché quello che lei aveva da fare era d’affrontare unicamente gli argomenti che lui e solo lui, volta più volta meno, decideva di proporre. Non avrebbe avuto alcun senso che anche lei si crucciasse col pensare e ripensare a tutto lo scibile umano, quando da lei nessuno mai se lo sarebbe aspettato, e quando, a ben vedere, non le veniva richiesto altro che eseguire dei comandi. Lo sapevano entrambi : il loro rapporto era così, ed era così da sempre : lei non era altro che un oggetto per lui, lui, che di lei era il padrone. Erano oramai quasi otto anni che passavano più o meno insieme la loro vita : le cose erano state così sin dall’inizio, e ciò andava bene a entrambi.
Ma non bisogna, dicendo così, farsi un’immagine sbagliata del rapporto che intercorreva tra loro: se lei forse non lo sapeva, lui ne era certo: non avrebbe mai potuto più vivere senza di lei: lei, per la quale, e unicamente grazie alla quale, sentiva di poter manifestare i suoi pensieri in tutta tranquillità.
Si era imbattuto in lei sul suo percorso, all’epoca dei tanti viaggi, nel suo ‘periodo’ francese, trovata per caso in un’appartamento, dove poi avrebbe passato diverso tempo, in coabitazione con altre tre persone; e da quel giorno non se ne sarebbe potuto più separare, a tal punto da sentirsi solo e quasi nudo quando, per qualche rara ragione, si trovava a uscire di casa senza di lei. E, se non per quelle rare volte, che si contano sulle dita di una mano, quando in seguito a un impeto che non era riuscito a trattenere, si era gettato sulla prima che aveva trovato (che seppur le assomigliava qualche volta, non era mai al suo livello), dal giorno del loro primo fortuito incontro non aveva mai pensato di abbandonarla.
Lei oramai era diventata la sua compagna ufficiale, da portare con sé ovunque; lei che era sempre stata così corretta con lui, dritta nelle sue azioni e composta nelle reazioni, così chiara nella sua linea di condotta, e così fedele. Mai si era trovato da solo quando aveva avuto uno di quei momenti dove, come un vulcano, sarebbe potuto esplodere, se non avesse potuto tirar fuori quello che si sentiva di non poter più trattenere ; lei era sempre lì, pronta ad assecondarlo attentamente e ad aiutarlo nell’esprimere quello che aveva dentro.
Sin da piccolo, egli infatti, era stato un bambino introverso e oltremodo sensibile, potremmo dire, ai limiti dell’autismo. Crescendo aveva forse imparato a stare in mezzo al mondo, almeno più di prima, ma sempre con riserbo, come dietro le quinte. E così, passata l’adolescenza, era diventato un adulto come tanti altri, con una discreta conoscenza e cultura letteraria date delle innumerevoli letture fatte, con un carattere comunque sempre interiore e poco socievole. Dopo un’Università senza infamia e senza lode in giornalismo, aveva cominciato da subito a scrivere per il giornale locale; per arrivare, in poco più di due anni, a scrivere per uno dei massimi quotidiani nazionali.
A trent’anni era quello che si può definire tranquillamente un giornalista di talento, rispettato, ma poco conosciuto al di fuori del settore a causa di quel carattere, credo oramai si sia capito, eccessivamente riservato.
Poi, la svolta della sua vita, avvenuta un’anno dopo l’incontro con Lei, la pubblicazione del suo primo libro e la scoperta di sapere cosa davvero avrebbe voluto essere nella vita: uno scrittore. Come non vedere l’importanza della presenza di lei nella vita di lui: lei, che gli è stata affianco tutto il tempo che ci volle a scrivere quel il libro; lei, che con lui, scrisse tutte quelle lettere da indirizzare poi alle varie case editrici; lei che era con lui quando, in un tripudio di emozioni, firmò il contratto dell’editore; lei infine che ancora era stata sempre presente a tutte quelle tante, troppe fino ad essere noiose, presentazioni del libro, ore e ore a firmar copie, senza mai abbandonarlo una volta.
Egli dunque non poteva certo dirsi un uomo sfortunato, almeno per quanto sembrava essere ad oggi la sua vita. E no, in effetti, non poteva dirselo, e nemmeno lo era, in fin dei conti.
Ma allora perché quell’alcool per mandare giù una vita di merda? Cosa diavolo poteva avere da dirle, che sembrava così terribile anche solo da pensare?!
C’è però una cosa da dire, senza la quale non si potrebbe altrimenti capire cosa gli passasse per la testa in quel momento. Senza affrontare troppo il lato psicologico della persona, ne diremo semplicemente che aveva quello che i poeti definiscono ‘il male di vivere’: come una sofferenza per un’ingiustizia subita, un’estraneità rispetto al mondo che per nascita doveva vivere, e che con il tempo avrebbe fatto di lui, non come almeno si sarebbe a questo punto potuto sperare, un eremita, ma nient’altro che un emarginato ; ché aveva magari sì, una bella vita lavorativa, ma era quella l’unica che aveva ; e anche il libro pubblicato non sarebbe certo potuto bastare per fargli passare quella che, più che una depressione, era una malinconia che lo accompagnava da tutta la vita. Anzi, proprio questo suo lato oscuro, questa sua incapacità, come egli stesso la definiva, d’essere felice, sereno e spensierato, era stata la ragione, ancora prima della scrittura, del suo amore per la letteratura più in generale. Ma si sa, la mente dell’uomo è strana, e vi assicuro che quella del nostro protagonista è molto molto complicata. Ed è infatti per questo suo potersi considerare soddisfatto (e per altre mille ombre nella sua testa che non saprebbe spiegare nemmeno lui che suo malgrado le ospitava), era proprio ora che, pubblicato da tempo il libro e con un posto nel mondo, vedeva le cose ancora peggiori di quello che fossero. Era infatti egli una di quelle persone che quando toccano con un dito la felicità, spaventati, ritirano subito la mano per paura di scottarsi con il malessere che arriverà, sicuramente secondo loro, appena passata la gioia. E quel legame che aveva con lei, così esclusivo, come di dipendenza nei suoi confronti, era la cosa che più gli faceva terrore: con un ruolo così importante, che oramai le aveva attribuito, ma che non era stata lei a scegliersi; e con quella paura di essere un giorno abbandonato, magari da un giorno con l’altro…
Aveva paura di quella specie di sudditanza che sentiva verso lei, che arrivava quasi ad essere scaramanzia se legata alla scrittura o al suo cammino di scrittore : una paura tale da fargli preferire di abbandonare tutto, a lui per primo, vomitando insieme tutti quei pensieri, una volta per tutte.
Ne era convinto, era la sola soluzione possibile. Sì, sapeva che in seguito ne avrebbe potuto soffrire, molto magari, ma sarebbe poi bastato utilizzare la prima che gli fosse capitata a tiro, un’altra lei qualsiasi, per mostrare che non solo con ‘Lei’, lui, poteva veramente essere quello scrittore di successo che sembrava oramai essere destinato a diventare.
Nel momento stesso in cui fece questa riflessione, come illuminato da un fulmine di lucidità, come ripreso di colpo il controllo dei propri pensieri e del proprio corpo, con uno scatto rapidissimo, quasi meccanico, si girò verso di lei. Un lungo sospiro e, alzata la testa, cominciò a guardarla, attento, così fissamente da sembrare la prima volta che la vedesse veramente. Non aveva però un’espressione sorpresa o estasiata come normale di fronte a un’apparizione, ma, non solo con il viso, con l’intero corpo in quella postura, sembrava indicare una grande risoluzione e decisione nel voler dire o fare qualcosa ; qualcosa che, però, per il momento almeno, non poteva essere così chiara nemmeno per lui
E così, senza parola proferire, come ripetendo con le labbra una poesia imparata a memoria, ma senza voce, allungò un braccio verso di lei. Sicuro, ma non minaccioso, sembrava tutto teso, fino la punta delle dita, nel volerla raggiungere, toccare, afferrare. Arrivato al suo corpo, prima con due dita, poi, come stesse cogliendo un fiore, con un tutta la mano, l’afferrò determinato. La teneva ora così, con tutta la mano, salda, lei prigioniera di quella presa. Chi lo avesse guardato in quel momento si sarebbe certamente spaventato: avrebbe visto un uomo così pallido da sembrare un fantasma, che sembrava in trance, come posseduto da un’entità maggiore, e che andava ripetendo a mezza voce quella che sembrava una nenia, ma di cui non si riusciva a comprendere niente.
Improvvisamente, come se qualcosa gli fosse entrato di colpo nell’occhio, abbassò la testa sul foglio. Come preso da uno scatto di nervi, con una mossa rapidissima, le tolse il cappuccio e, con lei, cominciò a scrivere il suo pensiero.
*Mailhac, 03 2020