Forse, per riconoscersi veramente, bisognerebbe specchiarsi nell’acqua.


È assurdo al pensarci, come, al risveglio, tutti quei pensieri che tanto non ci hanno lasciato dormire solo qualche ora prima, siano in un attimo scomparsi. Chissà dove. Al massimo, ci lasciano una vaga sensazione di malessere, come un retrogusto amaro che si sente in bocca al mattino. Come un volto che dal passato torna a palesarsi e che vorremmo dimenticare, ma di cui non ricordiamo i caratteri definiti, come sfocato. Nel guardarsi allo specchio la mattina, l’uomo non vede tutti quei problemi irrisolvibili della notte, ma vede solo il suo volto, uguale a sempre, lo stesso del giorno prima. Magari, con una ruga in più, un segno dell’aver dormito male, ma nient’altro. In fin dei conti, il viso è sempre il suo, immobile in quel riflesso, impassibile a tutta quell’ansia che tanto gli ha sconvolto il sonno. Forse, per riconoscersi veramente, bisognerebbe specchiarsi nell’acqua. Non per forza quella di un corso come quella di un fiume, anche una pozza immobile come quella di un lago. Ma solo così, il riflesso ottenuto potrebbe meglio rappresentare la nostra persona, e non solo i nostri lineamenti fissi come quelli rinchiusi dentro ad un dipinto realista. Solo all’interno di uno specchio acqueo la nostra persona potrebbe avere quella profondità che la mente fa poi riemergere in noi nel pensare a noi stessi. L’immagine che ci restituisce uno specchio normale, come quello del bagno, del resto, è irreale, fissa in certezze che in nessun modo possono rappresentare la realtà di un essere umano. A torto si pensa che l’immagine diafana che si può cogliere nelle increspature di un torrente non sia l’immagine veritiera di una persona. È invece proprio da quel movimento che si può evincere ciò che dietro il ritratto di una persona attraversi in ogni momento la sua mente: in quei cerchi tremolanti che anche l’acqua più immobile creerebbe comunque, allungando e spostando, ingrandendo e accorciando: nel deformarne il lineamenti. E diverso sarebbe il risultato che si avrebbe guardandosi in uno di quegli specchi deformanti dei lunapark: anche questa immagine sarebbe falsa, non veritiera della persona perché immobile, falsata, perché priva di movimento. Quel movimento dei pensieri che crea nella persona l’essenza stessa che si ha poi nel guardarsi: più bella se felice, più riposata se tranquilla, o più sconvolta se preoccupata, più sconsolata se triste… è proprio questa la figura evocata che ci rappresenta al meglio: un’immagine d’intercettazione, e non di semplice riflesso. Un’immagine nella quale solo noi sapremmo ben riconoscerci, lo stesso viso del bambino che eravamo, o il viso dell’altro ieri: tutti i nostri visi che siamo, e che non sono più. È un’immagine che per gli altri rimarrebbe confusa: potrebbe, ai loro occhi, essere quella di chiunque altro. Ma noi sappiamo, proprio grazie allo sforzo che i nostri occhi fanno in quella confusione di tratti indefiniti, che siamo proprio noi quella specie di ombra, quella macchia indefinita che stiamo guardando. Un’immagine rozza, incomprensibile e vaga per tutti gli altri, ma per noi così familiare, completa. È proprio in quell’immagine che noi siamo noi: un universo di esperienze, sensazioni e pensieri: l’essere vivente: che non è un ritratto definito su tela, ma caotico movimento dell’universo.

*Roma, 15 Gennaio 2021