I cavalli di Mailhac

Tra le vigne e gli ulivi, che del paese fanno le mura difensive, circondandolo dolcemente tutt’intorno, compaiono ogni tanto alcuni spazi lasciati alla natura. A curare queste selvatiche e verdi parentesi di varie dimensioni, ci sono loro, i giardinieri di Mailhac: i cavalli.
In questo periodo dell’anno tutta la valle comincia a risvegliarsi, a uscire dal letargo invernale, e io riprendo la mia abitudine di far delle belle passeggiate, andare a camminare, tra i suoi vari sentieri. E non poche volte, tra i canti degli uccellini e i fischi del vento tra gli alberi, la mia attenzione viene rapita da questi nobilissimi giardinieri. Giardinieri a quattro gambe : ché per l’elegante forma dei loro arti non si può parlare certo di zampe, basti pensare a quelle della gallina !
Mai ho visto, incontrandoli sul mio percorso, qualcuno approcciarli, indirizzarli o tentare di comandarli. Sempre in due, una coppia, in questi buchi rubati all’operosità degli agricoltori di queste parti, questi stupendi esseri impegnati nella cura dell’erba, ottenendo risultati che farebbero invidia ai migliori campi internazionali di calcio. E fanno tutto ciò con l’apparente disinvoltura di chi si applichi a qualcosa ma con lo sforzo minimo, addirittura en mangeant!
Nei miei avvistamenti fortuiti ne ho contati in tutto sei esemplari. Avendoli però sempre visti in coppia e in differenti momenti e punti della valle, a ben pensarci, non posso affermare con certezza che siano proprio sei, i cavalli: potrebbero essere gli stessi, ma in differenti situazioni.
Tre almeno, posso dire con certezza, sono diversi tra loro, in quanto ricordo tre differenti colori tra quelli visti: uno bianco, uno beige, uno nero come la pece.
Che ora ci sia almeno un quarto esemplare per accompagnarli, quando uno dei tre rimane solo, è auspicabile; che ce ne siano altri 3, o che uno riposi a turno, è indifferente.
Perché non per enumerarli sto scrivendo adesso, ma per cercare, per quanto con fredde parole sia possibile farlo, di descriverli, questi stupendi cavalli.
Senza l’ausilio di nessuna macchina agricola, nessun carburante e nessuna presa elettrica, senza alcun rumore o inquinamento, in maniera assolutamente naturale ed ecologica, questi stupendi cavalli si prendono cura degli spazi verdi che sono loro affidati, facendone dei curatissimi giardini.
Immagino che questi spazi, che per loro sono poi più un nutrimento che un passatempo o un lavoro, appartengano ai cavalli stessi, agli umani che li vanno accompagnando; forse alcuni appezzamenti sono invece proprietà di nessuno, e con tacito accordo se ne lascia a loro la cura in cambio di buon cibo fresco, e niente più.

Come funghi marci di quest’epoca stanno comparendo, sempre meno discrete nei paraggi del paesino centrale, continue orrende villette monofamiliari, il cui unico pregio dovrebbe essere l’annesso quadratino verdognolo per il borghese che ne prenda il possesso, circondandolo con i classici muretti grigi quanto bigi, e che ne danno il ricercato giardino privato: nessuna tra loro potrà mai, mai, avere un prato curato come quello curato dai nostri cavalli giardinieri.
Non è una novità d’oggi, in più parti del mondo  e da sempre, è spesso impiegato un animale per svolgere quelle azioni che altrimenti l’uomo tenderebbe a lasciare a qualche trabiccolo industriale: cavalli appunto, come asini o bovini vari, anche per trasportare oggetti con varie funzioni particolari, ma anche polli e galline e pecore, e capre per terreni più scoscesi… e via dicendo.
Ed è questa l’unica vera forma di ecologia di cui abbia senso parlare, questa logica eco, naturale, in relazione con la Terra, che tuteli e protegga il pianeta e tutti i suoi abitanti grazie alla condivisione, che è innanzitutto data dalla convivenza, come dal rispetto reciproco e dall’unione degli intenti, e dell’utile e del dilettevole. Tutto il resto, che va spandendo la parola ecologia ovunque, non è altro che tendenza da grandi agglomerati urbani o sapientissimo e costosissimo marketing per cittadini annoiati: dalla collaborazione tra l’uomo e l’animale, in un rapporto per quanto più possibile paritario, può rinascere il giusto equilibrio per il mondo intero, senza ferraglia e rifiuti a coprirne i mari.
Tralasciando però queste considerazioni, per così dire più utilitaristiche e logistiche, esaminiamo più attentamente il lato meramente estetico del cavallo, il vero motivo, in verità, per cui ogni volta rimango estasiato e rapito a guardarli.
La grande statura, il lungo collo, perfettamente nodoso, la criniera; la forma robusta del corpo muscoloso e nervoso, la lunga e sensuale coda, l’elegante tornitura che fa di tutte le gambe quelle di una statua: uno spettacolo, il cavallo, con cui non m’affaticherò mai gli occhi!
Le gambe, proprio le gambe: la pelle tirata degli arti e la sua lucidità: ancora più delle gambe di una bellissima donna, mi voltano il viso, quelle di un cavallo in libertà.
Come non farsi pizzicare l’occhio, cercando di farlo in maniera discreta e non molesta, quasi tranquillizzatrice, come non soffermarsi a guardare un esemplare di cavallo libero in un prato, quando si ha la fortuna d’incontrarne uno, come ?!
Perché, non è il sorriso della dentatura perfetta, nemmeno l’intensità dello sguardo, ad impedirmi di poter passare oltre senza almeno cercare di rubare qualche sguardo in più, ma solo l’eleganza, la tornitura e la muscolatura, la snellezza di quello stupendo paio di gambe, quelle del cavallo.
Sono gambe fatte per camminare, sanno dove andare, e sanno farsi guardare.
E non pensiate allo stallone, o alla bella puledra: questi son immaginari da città; qui,
sono cavalli belli perché sani, liberi, perché in rapporto con ciò che li circonda: essi stessi sono la più bella offerta terrestre dell’animale sano.
Impossibile non esserne attratti, volersi avvicinare, un po’ timidi un po’ curiosi, forse volerlo accarezzare, anche solo sfiorare… il cavallo.

Impossibile non invidiare la fortuna di chi possa dire di averne visto uno veramente selvaggio, almeno una volta, di quelli da combattimenti antichi, più pelosi più robusti… vederne uno imbizzarrirsi magari… impennarsi su due gambe, alto, e minaccioso verso il cielo: come un Dio che iroso, sbattuto verso gli inferi, minacci il cielo con la sua perfezione ancora divina, nonostante sia reincarnato in un corpo terrestre.
E forse, chissà, è anche per questo che fino ad oggi non ne ho mai cavalcato uno.
Da piccolo, ero spaventato, quasi terrorizzato mi verrebbe da dire a ripensarci, anche solo dall’avvicinarmi ad un cavallo. Avevo amici che ne possedevano, chi era anche un abile cavallerizzo: ma io, anche solo al vederli, ero come bloccato dalla loro corporatura, la loro postura, sempre pronta a darti la zoccolata letale: ne ero sottomesso psicologicamente.
Mi si diceva, almeno sostenevano i seguaci di Freud, che era perché ero nato orfano di padre, di cui il cavallo appunto sarebbe la rappresentazione onirica e psicologica che stava dietro al mio timore; sarà… Oggi però, convinto che di questa vita sia più importante che capirne la psicologia, cercare d’afferrarne la poesia, sono sicuro che in realtà, sin da piccolo, come pochi anche più tardi sentono, del cavallo scorsi la perfezione; bambino, vidi subito il Dio incarnato nello stupendo animale: e quale uomo, conscio di ciò, potrebbe essere così pazzo, o così arrogante, da voler cavalcare una divinità?

*Mailhac, 02 2020