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PERSONAGGI
La mamma
Una bella donna, non alta non magra, non volgare. È una donna molto intelligente e forte. È attualmente disoccupata, sta aspettando un impiego come professoressa di scuola media. Ha cresciuto vedova suo figlio, da sola, senza mai aver avuto nessun altro su cui poter contare, se non se stessa. Ama molto suo figlio, a volte anche troppo.
Il figlio
Il classico bravo bambino. Non eccellente a scuola, ma molto molto sveglio.
Fisicamente, sembra più piccolo dell’adolescente che oramai è: solo una forte acne ne fa intuire la vera età. Dal carattere molto introverso, ama leggere. A volte, per il linguaggio che usa quando parla, sembra più un professore nano, che un normale bambino. Ha un bel rapporto con la madre, con cui passa molto tempo. Per la mancanza della figura del padre, sente il dovere di essere l’uomo di casa. Si crede comunista.
Il corvo
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Una pandemia ha sconvolto il mondo, e le sue abitudini. Ora il peggio è passato, ma l’umanità si è dovuta abituare con il tempo a vivere in un modo nuovo: su tutto il pianeta non c’è più una sola fabbrica, si vive solo di quello che la natura dà.
Ci troviamo in un piccolo villaggio di montagna, nel sud Italia.
Un corvo, giunto lì non si sa da dove, si alza in volo all’interno di un cortile, all’altezza del secondo piano di alcune case, che ne costituiscono il condominio. Passa in rassegna le finestre che gli sono così parallele, finché ne incontra una aperta; si ferma di fronte a quest’ultima. Attirato da quell’apertura, volando sul posto come sospeso in aria, aguzza l’occhio per vedere meglio al suo interno; se ne allontana un pò, volando un metro più in alto (diciamo, all’altezza del terzo piano dell’immobile; terzo piano che però non c’è, la casa si ferma al secondo). Finché si decide e, planando molto dolcemente per non farsi vedere, si poggia sul piccolo davanzale per poter guardare meglio dentro.
È una cucina. Una camera spoglia di mobili, ma non povera. Presenta un blocco-cucina moderno ed economico, consumato dal tempo ma pulito: la classica cucina da grande distribuzione.
Al centro della stanza un tavolo quadrato bianco, con 4 sedie disposte così: 3, una per ogni lato, e la quarta, spostata, vicino al frigorifero.
Appoggiata all’unico lato del tavolo rimasto libero per la sedia mancante, una donna, intenta a preparare delle lasagne.
Unico mobile oltre al tavolo, e agli elettrodomestici e ripiani che compongono il blocco cucina, un grosso carrello di metallo nero; sul pianale è poggiata una grossa scodella di latta color bronzo; al suo interno, frutta e verdura: mele pere arance, e fave.
Di fronte al carrello, un bambino, un ragazzino sui dieci anni, intento a prendere un frutto.
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Figlio: (prende una mela dalla scodella, la pulisce strofinandola nella maglietta, la alza di fronte a sé, sopra gli occhi, la guarda, e come se pensasse a voce alta:)
Pensare a quelle schifezze industriali che mangiavo prima, ogni volta per merenda… invece d’un frutto. La frutta ha un gusto -questa mela, mmm…- che nessuna multinazionale riuscirà mai a riprodurre! Quei prodotti finti fino nel gusto, me ne rendo conto solo ora!
(addenta la mela, la mastica con gusto, inghiottendo il boccone riprende:)
Mmm… Mi sento perfino meglio, da qualche tempo: prima, ero sempre stanco, come triste, addormentato. Ora mi sveglio energico, di buon umore, e dopo la merendina pomeridiana, sai mamma, invece di sentirmi come rintronato, mi sento ricaricato.
Mi stanno andando perfino via i brufoli, guarda!
Mamma: (per tutto il tempo è rimasta con la testa china, intenta a quello che sta facendo. Si ferma; con l’avambraccio, per non sporcarsi con le mani piene di farina, si sposta la frangia dalla fronte che però ricade, allora, con uno sbuffo girando gli occhi al soffitto cerca ancora, invano, di far volare via quei capelli che tanto la disturbano; guarda il figlio, con aria dolce:)
Ah sì, non ci avevo fatto caso. Bè, tanto meglio allora: avevo tanta paura che non ti saresti mai abituato a mangiare cose sane e a poter stare senza i tuoi prodotti preferiti. Sono contenta.
(e sorridendogli teneramente, dopo una piccola pausa, si rimette a stendere le sfoglie nella teglia)
Poi si dice che faccia bene anche ai denti, mangiare una mela: è come lavarseli, si dice.
Figlio: Lo so: una mela al giorno, toglie il medico di torno! Il dentista di torno, anzi. (ha già mangiato quasi tutta la mela, rimane con un piccolo torsolino in mano; si avvicina al tavolo, e spostando una sedia per sedersi:)
Vuoi che ti aiuti, mamma? Hai bisogno di una mano?
Mamma: Attento a non sporcarti! No, per adesso no, grazie amore. Ma rimani qui, guarda bene come le preparo, così impari. (senza smettere di fare cosa sta facendo e senza guardare il figlio)
Anzi, se hai finito la mela, perché non mi passi la salsa di pomodoro. È là sullo scaffale, di fianco al frigorifero, c’è già la sedia, ci devi salire per arrivarci: stai attento.
Figlio: Sì mamma. (già sulla sedia) Quale? Questa? (mostrando un barattolo, alzandolo davanti a sé, senza voltarsi verso la mamma)
Mamma: Sì, bravo, prendine due (mentre già il figlio le stava passando i due barattoli richiesti, nel prenderli, si sofferma a guardarlo: in effetti, era più bello da qualche tempo, l’occhio più sveglio, la pelle più pulita: stava crescendo, sembrava perfino che gli stesse andando via quell’acne maledetta che arrivava a deformargli il viso, al suo povero angioletto… non poteva dargli ragione, però, sul migliorare dei brufoli, in quanto da sempre aveva finto che lui non avesse alcun problema di quel genere, non dandogli importanza, ripetendogli sempre che era un bambino bellissimo, e che alla sua età qualche piccolo bottoncino in faccia, così li chiamava, era normalissimo!)
Sai, in effetti, ora che ti guardo da vicino, sei più bello del solito, in questi giorni: sei bellissimo. Non so dirti amore se sia veramente solo merito della frutta che hai sostituito alle merendine industriali, ma sicuramente da qualche tempo sei veramente un bell’ometto. (e con la mano destra, ora libera posati i barattoli sul tavolo, gli scompiglia i capelli, come tanto a lui da fastidio e come tanto a lei diverte fare)
Figlio: Mammaaa… dai, i capelli! (sistemandosi il ciuffo)
Quelle merendine m’intossicavano, come una droga, più mi facevano male più ne mangiavo: se non fossi stato obbligato, io come tutto il mondo, a mangiar della frutta al posto di quelle schifezze industriali, non me ne sarei mai reso conto. È proprio vero che ci vuole una malattia per curare un’uomo da se stesso, a volte.
Mamma: (abituata alle citazioni dotte del figlio, grande lettore, che spesso e volentieri parlava come un professore, non si stupisce quindi nemmeno in questo caso per la citazione di Paracelso, altrimenti assurda per un bambino della sua età) Bé, Oddio, sarebbe stato meglio tu lo capissi da solo, ma insomma… ma ti capisco, sapessi tu quante cose, anche per noi adulti, ci sono divenute così chiare, d’improvviso, e solo grazie alla pandemia…
Figlio: Tipo?
Mamma: Tipo? Tipo…. tante… tipo, vediamo… bé, adesso non mi viene in mente niente. Ma, tante… Cosa dicevi amore? (la mamma, seppure donna molto intelligente e caparbia, non è mai stata capace di fare due cose allo stesso tempo, farle bene intendo. Quando cucina, le piace avere la testa alla ricetta, e non ad altro: se proprio deve, preferisce ascoltare che parlare)
Figlio: (tornato di nuovo a sedersi sulla sedia, vi sale con le ginocchia, e con i gomiti appoggiati alla tavola, facendo ben attenzione a non sporcarsi:)
Ma poi, a pensarci, anche in termini ambientali, in termini pratici… adesso che piano piano ci saranno alberi da frutto in tutta la città, in tutte le città, come vuole la legge… ognuno potrà avere il suo frutto quotidiano, gli basterà solo coglierlo, e operare quel tanto obbligatorio che si deve per la comunità, come tutti… così semplice. Niente più fabbriche: niente più prodotti confezionati: niente più trasporti e magazzini, e centri commerciali: niente più confezioni, niente più cemento: niente più inquinamento…
Mamma: (che ora non sta più seguendo il discorso del figlio, intenta a ben versare la salsa in maniera omogenea, per l’ultimo strato della lasagna) E sì, hai proprio ragione amore.
Figlio: Ci siamo da sempre complicati la vita, da soli, chissà poi perché? Ma pensa, ad esempio, le confezioni, dicevo… la frutta ci ha sempre mostrato, da sempre, la confezione perfetta: la buccia! E noi invece? Plastica plastica plastica, e ancora plastica. La buccia.. trattiene tutto quello che del frutto non dovremmo mangiare, pensa una volta quando c’erano ancora i pesticidi! Basta toglierla, et voilà: il frutto si può mangiare. La buccia, che non solo non inquina, è biodegradabile, può servire per farci un bel compost per la terra.. sai cos’è un compost mamma?
Mamma: (che finita la preparazione della lasagna, sta prendendo la teglia in mano; gli risponde, mentendo:) No amore, cos’è un compost?
Figlio: Me l’ha insegnato il portiere cos’è un compost, quando stavo uscendo l’altro giorno: era vicino all’orto e mi ha chiamato. Praticamente, è un grosso cassone della spazzatura, dove si deve però buttare solo la spazzatura organica, sai i resti di cibo non cotto, frutta verdura, le bucce appunto… e con il tempo, questo compost, al posto di restare un insieme di rifiuti, diventa materiale prezioso che invece di finire nelle discariche, con tutto quello che ciò comporta, come si faceva una volta, può essere aggiunto al terreno coltivato, così da arricchirlo, una volta trasformato in humus. Non l’humus che fai tu, mamma… hai capito?
Mamma: (che infilata la teglia in forno, sta già pulendo il tavolo) Scusa amore, spostati che finisco di pulire bene… ecco, qui…
Figlio: Sì. Ma hai capito mamma?
Mamma: Cosa, amore?
Figlio: Cos’è il compost
Mamma: Il compost? Ah… Ma sì, amore: il compost, ho capito. Bene!
Figlio: Perché non facciamo anche noi un compost, mamma?
Mamma: Bé, perché non abbiamo un orto, amore
Figlio: Potremmo farlo lo stesso, e poi darlo al portiere
Mamma: Ma, amore, il portiere ha già il suo di compost, no? È lui che te l’ha mostrato, hai detto, l’altro giorno? E poi, non abbiamo lo spazio (il bambino si stava imbronciando) e poi, puzza, amore, il compost…
Figlio: Va bene, niente compost… (ma ancora un broncio gli ombrava le labbra)
Mamma: Bravo amore! Ma perché mi stavi parlando del compost, amore?
Figlio: Per la buccia
Mamma: Per la buccia?
Figlio: Sì mamma – non mi stavi ascoltando ?!
Mamma: Ma sì, solo sto preparando e sai che quando sono impegnata nel fare qualcosa… ma ti sto ascoltando: dicevi che la buccia, è la migliore confezione che si possa immaginare, che una multinazionale non riuscirà mai a produrre… non è così?
Figlio: Sì (gioca con le mani, testa bassa a guardare tra le dita, come ricercando cosa stava dicendo) Secondo me, è anche perché hanno abolito le pubblicità, che del resto oramai erano inutili, che non ho più avuto voglia di quelle cose… prima del virus, nemmeno due anni fa alla fine, uscendo da scuola, quante volte ti ho supplicato, fino allo stremo delle forze mie e tue, per andare da Mc Donald? Ora, solo a pensare che potevo mangiare quella sbobba, e felice…
ma hai visto i video che sono usciti, mamma, che schifo?
Mamma: Sì amore, uno schifo
Figlio: Era il grosso cartellone di fronte scuola, quello sul muro del parcheggio, ti ricordi mamma? Dove mi lasciavi ogni giorno.. sarà che lo vedevo ogni mattina, e quell’immagine lavorava, proprio come un virus, durante tutte le ore di lezione, ché poi all’uscita ne avevo così voglia da sentirne quasi un bisogno, di quella sbobba… non trovi mamma?
Mamma: E sì amore, per questo l’hanno vietata. Non c’erano più soldi per farne, di pubblicità, servivano per gli ospedali, e del resto come hai detto tu, non c’era quasi più niente da pubblicizzare oramai. Incredibile come non ce ne siamo mai resi conto prima, e dello spreco che rappresentava tutto il giro di soldi dietro il mondo della pubblicità e del modo in cui queste pubblicità condizionavano i nostri bisogni e le nostre voglie, la nostra vita…
(va verso il frigo, si ferma con la maniglia in mano, si gira di scatto verso il figlio:) Ecco. Ecco una cosa, delle tante che sono cambiate: la pubblicità. Chi lo avrebbe mai detto che oggi, una delle attività attorno alla quale giravano così tanti soldi e nella quale lavorava così tanta gente, che fosse un giorno considerata illegale: circonvenzione d’incapace… vedi, era una di quelle tante cose (mimando le virgolette con le dita) che ti dicevo prima, amore… delle tante cose che sono cambiate
Figlio: (senza guardare la mamma, andando verso la ciotola della frutta): Ma quali ‘tante cose’ (facendo lo stesso gesto della donna, con le dita), mamma?
Mamma: (sempre nella stessa posizione vicino al frigo) Ma quelle che ti dicevo… Amore, non mangiare un altro frutto adesso, però, che tra poco pranziamo. Vatti a lavare le mani piuttosto.
Figlio: (facendo finta di non aver sentito l’ultima frase) ah sì… eh, sì. Che poi, quanto son più belle ora le città stesse, senza tutte quelle immagini, quelle donne seminude, tutto quel cibo sempre in foto… da quando hanno deciso di mettere riproduzioni di quadri o poesie al loro posto? L’idea di farci studiare la storia dell’arte, cambiando ogni settimana il quadro rappresentato nel cartellone ex-Mc Donald, è stata geniale! No mamma?
Mamma: Eh sì, amore. Adoro anche io: pensa che tante opere non le conoscevo, nemmeno io. (richiuso il frigorifero, posa la bottiglia d’acqua a tavola. Si dirige verso il cassetto delle posate) Ma ora vatti a lavare le mani, per favore, amore.
Figlio: Anche solo aver tolto, quei cartelloni, vedere il paesaggio così com’è… con gli alberi e i frutti e i fiori, al posto di quelle stupide pubblicità.. no mamma? (sempre facendo finta di non aver capito di dover andare a lavare le mani)
Mamma: (si ferma, guarda il figlio negli occhi, la faccia le si apre nel più bel sorriso che una mamma possa fare:) Sì amore, hai proprio ragione. (si avvicina e gli fa una carezza sulla testa) Ora, però, vatti a lavare le mani che mangiamo, d’accordo?
Figlio: (prende la mano della mamma, la porta alla bocca, la riempie di mille bacetti rumorosi) Va bene mamma. Ho una voglia di lasagne! (e fa per andare verso la porta, nell’aggirare la mamma, facendo attenzione al cassetto rimasto aperto, volge lo sguardo alla finestra; vede il corvo:) Guarda mamma: c’è un corvo sulla finestra (e alza il braccio per indicare meglio il volatile alla mamma) Guarda!
Mamma: (con il figlio che gli gira attorno, lo segue con gli occhi, volgendosi verso dove indica il dito del bambino) Oddio! Aspetta che chiudo, prima che entri (e fa per andare alla finestra)
Figlio: (frapponendosi tra la mamma e la finestra) No, lascialo mamma, è bello il corvo: guarda com’è nero!
Ma il corvo, spaventato, è già volato via.
*Mailhac 04 2020