IL NANO MASSIMO – Racconto breve

Desideroso di una sola cosa, senza alcun’altra brama nella vita che il potere. Il nano Massimo, che a quei tempi era un bambino, un bambino nano quindi, di fronte allo specchio, un giorno, decise che la sua vita avrebbe avuto un solo obiettivo : diventare l’uomo più potente del mondo. Da grande -aggettivo che per un nano potrebbe sembrare un ossimoro- avrebbe dovuto essere rispettato, e se non rispettato, meglio ancora, temuto: tutti avrebbero dovuto prostrarsi ai suoi piedi per poterlo guardare, e comunque mai negli occhi, dal basso verso l’alto.
Sarebbe così diventato: il nano più alto del mondo!

All’inizio tenne questa decisione per sé, continuando a vivere, in apparenza, come un qualsiasi altro bambino, nessuno avrebbe mai potuto immaginare quanta determinazione ci fosse già in quel piccolo piccolo uomo. Anzi, solamente tanta pena avrebbe fatto a quei tempi, ad un qualsiasi buon cuore che lo avesse incontrato, per quel suo continuare ad essere additato, deriso ed emarginato, da tutti i suoi compagni di scuola; e a volte anche dai professori e dai bidelli, che però cercavano sempre di celare quei comportamenti vili dietro malizie da adulti, senza risultare però meno duri e diretti degli scolari stessi. Ma si sa: di cuori gentili nel mondo ce ne sono sempre meno. Inoltre, è cosa nota a tutti, come i bambini, che solo per uno sciocco immaginario popolare vengono sempre dipinti come buoni, in realtà possano apparire malvagi, proprio per il loro essere diretti e non sapere mai trattenere quello che hanno da dire; cioè ciò che, in fin dei conti, poi, spesso è la pura e semplice verità.

E anche a casa la situazione non era certo migliore: con la mamma, che non riusciva a trattenere il dispiacere, che diventò presto odio, per quel suo unico figlio. Solo per il suo essere nato così, il bambino, le portava via il suo più grande sogno, quello di avere in lui, un giorno, un bellissimo orgoglio di uomo adulto, da mostrare a tutte le sue amiche, che magari tanto glielo avrebbero invidiato, e che tanto avrebbe dato senso alla sua vita di donna: Il mio Massimo… un nano! Con un nome così poi! Non arriverà nemmeno mai ad essere nemmeno sufficientemente alto, per dirsi almeno uomo normale!
E con il padre, che ogni volta che cercava di risollevare quel suo amato figlio -perché il padre sì, nonostante tutto, lo amava-, in realtà, otteneva sempre l’effetto contrario, riuscendo ad affossare ancora di più l’umore di quel bambino che ogni giorno tornava in lacrime da scuola: Ma, piccolo mio, non fare così… Non sei tu che sei basso, sono gli altri bambini che sono troppo alti!, oppure: Ma Massimo, gli altri bambini sono normali, tu no!, hai mai sentito parlare di bambini normali in qualche fiaba Disney, pensa ai sette nani!, oppure: Massimino, rifletti, come nano, avrai la possibilità di diventare un uomo dello spettacolo, uno Showman: hai mai visto un circo senza un nano, ad esempio?! E pensa al cinema, prima o poi, un nano ha un lavoro assicurato!

E così cresceva, il povero Massimo, in un pianto continuo, una sofferenza che niente o nessuno riusciva o sembrava, anche solo per un istante, voler allietare o diminuire; e ancora peggio fu quando, crescendo, divenne adolescente, con i primi impulsi sessuali che si affacciavano sconosciuti alle porte del mattino. Ogni giorno sentiva sempre più forte la pulsione, l’attrazione inconsapevole verso l’altro sesso, verso quelle bambine che bambine più non erano, ma dee dell’amore, esseri perfetti, che da un giorno con l’altro si scopre di aver sempre avuto di fianco, ma senza mai averne intuito prima la natura magica e profumata. Ben presto, infatti, il nostro Massimo capì che mai avrebbe trovato una ragazza che lo avrebbe amato, come sembravano fare tutte per il più bello della classe; amato per quello che era. Mai avrebbe potuto capire fino in fondo cosa fosse una femmina, cosa fosse l’amore; e per questo, forse, sin da subito se ne disinteressò.
Ogni volta che incontrava sul suo cammino un gruppetto di ragazzine, queste non potevano fare a meno di arricciare il naso scorgendolo, guardarsi tra loro sorridendo e, senza riuscire a nascondere quelle infernali risa dietro una mano, scappare via lontano, ridendo, con parole di derisione che restavano per ore col povero Silvio, a risuonare malvagie nelle sue piccole e tenere orecchie.

E fu così che con il passare del tempo e della sua personale sofferenza, quel bambino divenne uomo, e, pur non avendo cambiato di troppo la sua statura, aveva certamente aumentato la determinazione in quel progetto di vita che tanto tempo addietro aveva deciso, in quel giorno in cui si stufò di piangere per sempre.
Finiti gli studi, fatta la valigia, andò in cucina e disse: Mamma, Papà, io parto!
La mamma, che seppure nel suo intimo sarebbe solo stata felice di vedere partire e sparire dalla sua vista quel fallimento ambulante, dovette comunque giocare il suo ruolo: Ma, Massimo, dove vai scusa?
Mamma, me ne vado, qui non ho posto, nessuno mi vuole, sono stufo di soffrire; andrò da qualche parte che ancora non so, e non mi fermerò finché non avrò trovato il mio posto nel mondo!
E così, senza null’altro aggiungere, prese la porta e se ne andò, e del resto nessuno fece un movimento per fermarlo.
Il padre, che ancora non aveva detto niente, guardando allibito sua moglie, dopo una decina di minuti, riuscì solo a dire: Ma dove va scusa, il nostro Massimo?
Ma il sospiro di disperazione della moglie lasciò intendere che non avrebbe potuto rispondere a quella domanda, di cui, in fin dei conti, non le interessava la risposta.
Lontano. Sì, lontano…
E lontano andò Massimo: prima a piedi, poi trovando passaggi di camionisti sul suo cammino; finché un giorno, in un autogrill, per pura fortuna, scorse il manifesto d’una sconosciuta compagnia teatrale indipendente che cercava proprio un nano per una tournée delle piazze principali del Paese.
E, indovinate un po’, per quel ruolo scelsero proprio il nostro Massimo.

Ora, non sappiamo, e mai potremo sapere, se con il senno di poi, selezionato per fare quello spettacolo, solo per il fatto di essere l’unico nano ad essersi candidato -di nani in quel luogo vi era grande penuria-, risuonarono mai nelle minute orecchie del nostro Massimo le parole del padre che tanto lo intristivano da bambino: quando questi andava ripetendogli i possibili lati positivi di quella che voleva fargli passare come una particolarità, e non come un handicap. Possiamo dire però, anche a favore di quell’uomo che seppur non nano nel fisico risultava spesso infelice nelle sue uscite, con quell’arpia di moglie che si ritrovava e con la quale non ebbe vita felice nemmeno lui, che, in fin dei conti, non aveva poi così torto in quello che diceva.

Massimo, però, non ebbe mai tempo per porsi questi inutili e nostalgici pensieri, perché il tempo della malinconia era finito per sempre: ingaggiato per quel primo spettacolo, per il quale il pubblico, ad ogni ripetizione, andava sempre più in visibilio, divenne rapidamente una star, e il suo successo non smise mai di crescere. Le compagnie teatrali più rinomate dell’epoca cominciarono a contenderselo a suon di offerte di volta in volta più esorbitanti, con ruoli sempre più importanti e pubblicità sempre più altisonanti. Di Massimo piaceva tutto: il fatto che fosse nano era in fin dei conti la cosa di lui meno importante, anche se determinante: nonostante, infatti, i ruoli dovessero e potessero essere interpretati da lui proprio per questa sua peculiare caratteristica: di lui piacevano i lineamenti, che rimasero sempre quelli di uno stupendo bambino e mai divennero quelli sproporzionati di un uomo in miniatura; la sua voce altisonante da tenore lirico; la capacità di effettuare le più diverse espressioni facciali… a lui si affiancarono nel tempo attori di fama mondiale, in spettacoli dal successo internazionale. Chi poteva sapere poi davvero, in definitiva, se il merito del successo di quegli spettacoli fosse l’originalità della storia, o la capacità della regia, o la protagonista e il protagonista principali ogni volta più belli, e non proprio del nostro Massimo. Del resto, chi potrebbe dire con certezza che il merito dello spettacolo, che sfido chiunque a dire di non aver mai sentito almeno nominare, Il gobbo di Notre Dame, non risieda proprio nella figura del gobbo, indipendentemente da tutto il corollario dell’opera in sé?

È facile capire quindi come il successo mondiale del nostro Massimo non mancò di portare la sua eco fino al paesello dove lo abbiamo conosciuto e visto crescere, e dove la sua famiglia ancora oggi viveva.
Il padre, che passò anni di sofferenza infinità perché rappresentava oramai l’unico sfogo possibile ai malumori della moglie, al conoscere la notizia, disse solamente: Lo sapevo! il nostro Massimo era destinato a diventare il più grande di tutti!
La moglie, non solo ora parlava del figlio come se fosse stato da sempre il suo più grande orgoglio, ma andava da tutte le vicine, mostrando di volta in volta l’annuncio dello spettacolo del momento, e ripetendo come un mantra quanto fosse contenta per quel figlio, in cui dal primo giorno aveva incessantemente creduto. Dentro di sé infatti mai si vergognò del suo passato nei confronti di Massimo. Oltretutto, nel suo intimo, la madre non era poi così contenta dei ruoli che venivano attribuiti al figlio, i quali, pur sempre di grande prestigio, non erano mai i principali; ma finiva poi sempre col ripetersi, sopratutto nel vedere l’invidia delle sue amiche con figli normali dai lavori comuni, che in fin dei conti poco importava cosa facesse o quale ruolo avesse o che statura, perché qualsiasi persona che fosse salita su palchi di quel prestigio, solo per questo motivo, di essere più in alto del pubblico, dal pubblico sarebbe sempre stato applaudito.

Tuttavia Massimo, da ostinato a diventare il più grande di tutti, non si accontentò mai del successo ogni volta maggiore che riceveva, ma aspirava sempre ad accrescere il suo prestigio: per questo, mai si dedicò alle donne o al vizio, o ad altre cose che spesso la fama porta con sé; passava tutto il suo tempo libero imparando a suonare il piano, ore ed ore, ogni giorno, fino tardi la notte.
Fu così, che nel giro di pochi anni, il nostro nano preferito, divenne anche il pianista preferito dei più grandi critici e amatori di musica classica: infatti, con il tempo, stufo oramai dei ruoli di nano gobbo o bambino, nei vari spettacoli teatrali -seppure di rinomata levatura-, aveva cominciato quella che sembrava un altrettanto florida carriera di musicista, arrivando in poco tempo a suonare per le orchestre migliori. E così, ancora, continuava a ingrandirsi il suo successo.
Poi un giorno, un evento solo catalizzò l’attenzione del mondo intero, facendo presto scomparire tutto il resto nel dimenticatoio del popolo: il primo viaggio transcontinentale del più grande transatlantico mai costruito prima. E per tale evento non poteva certo mancare a bordo la migliore orchestre del mondo, per allietare le orecchie degli uomini più facoltosi e famosi dell’intero globo: e a tale scopo fu scelta proprio l’orchestra del nostro Massimo!

Per tale evento egli decise che sua madre, della quale mai aveva dimenticato le angherie del passato, e che mai fino quel giorno aveva voluto che fosse presente a un suo spettacolo prima, e a un suo concerto poi, potesse finalmente venire a vederlo dal vivo, mentre il pubblico intero lo avrebbe applaudito come il più grande di tutti. E così, con grande voglia di rivincita per quell’amore mai ricevuto, la invitò a bordo della crociera più famosa del mondo, solo per metterla di fronte al successo di quel figlio che mai lei aveva accettato. Proprio quel figlio di cui tanto si vergognava, e che ora, invece, era il pianista principale della più eccezionale, della più autorevole e più rinomata orchestra del momento; che avrebbe suonato per tutta la durata di quell’incredibile crociera, a cui tutti aspiravano tanto partecipare: la crociera sul prestigioso Titanic.

*Mailhac 08 2020