Mario Rossi vive grazie al reddito di cittadinanza.
Senza soffermarci troppo sui dettagli o i particolari di questa forma di sussidio statale, prenderemo per esplicative le semplici parole che ne compongono il nome : un reddito di cittadinanza.
Del resto, trovandoci tra le righe di un racconto e non tra i fatti della realtà, possiamo star certi che le parole sono qui usate per quello che realmente sono e rappresentano, parole scelte con cura, per arrivare a dare, per quanto possibile, anche la più piccola sfumatura delle cose. E non come nella vita ‘vera’, là fuori da queste pagine, dove spesso le definizioni vengono scelte, si direbbe con altrettanta cura, ma per mistificare se non addirittura cambiare il senso ultimo della verità.
Come dire che qui le parole sono scelte per cercare di definire nel modo migliore le cose per quello che sono, mentre, fuori di qui, son le cose che assumono i più diversi significati perché rappresentazione di una realtà che non si vuole chiamare per quello che è.
Se però non volevamo dilungarci in noiose definizioni amministrative burocratiche, non vorremmo nemmeno disperderci in nebulose questioni filosofiche irrisolvibili : torniamo quindi al protagonista della nostra storia.
Mario Rossi è un uomo qualunque, come si potrebbe facilmente dedurre dal nome se si desse per scontata la frase dei latini Nomen Omen ; ma per darvene comunque un’idea, ne faremo una rapida descrizione : uomo sulla cinquantina, tendenzialmente calmo e calvo, Rossi non arriva a un metro e settanta di statura. Nonostante la costituzione piuttosto magra, porta in giro con sobrietà una discreta pancetta (simbolo di inattività fisica, non certo di benessere o di sostanza, come più spesso si giustifica chi si faccia sorprendere in braghette, non proprio in forma olimpionica), pancetta sulla quale, per la più parte del tempo, poggia le sue piccole e paffute manine.
Senza alcuna occupazione quotidiana, passa la più parte del tempo seduto sul suo divano.
E seduto, vuol dire seduto. Mai e poi mai vi potrà capitare di sorprenderlo sdraiato o anche solo ‘sbracato’, e non in quella che è ‘la sua posizione’ : seduto ; con i piedi perpendicolari a poca distanza l’uno dall’altro, le gambe a formare un preciso angolo di novanta gradi all’altezza delle ginocchia, come a volergli bene spingere contro il divano il resto del corpo, in una postura rigida, con la schiena perfettamente aderente allo schienale. Le braccia distese, abbandonate lungo i fianchi, terminano con le mani sull’affezionata pancetta, mentre la testa, che sembra volersi dissociare da tutto il resto, giace buttata indietro come termine di un collo mollo.
Così passa le sue giornate Mario Rossi, seduto sul suo divano, a dormire.
Attenzione però, raccontata così, potrebbe sembrare che ogni giorno della sua vita non sia che la giornata di uno sfaticato, d’un parassita che sfrutti il sistema, senza aver di meglio da fare che passare il suo tempo in siffatta maniera. No. Mario Rossi è uno dei massimo esperti di arcobaleni del mondo : riuscito, ancora studente, ad ottenere che lo studio dei suoi tanti amati fenomeni naturali venisse riconosciuto come branca ufficiale della meteorologia e della fisica dell’atmosfera ; gestiva, dopo appena qualche anno dalla sua laurea, uno dei più importanti centri di ricerca in materia ; almeno fino quando lo stato non ha deciso di tagliargli i fondi, e quindi di chiudere il centro. Costretto dalla vita, visto che nessun altro oltre a lui sembrava più interessato agli arcobaleni, a svolgere vari lavori per tirare la fine del mese, come si dice, con essa tirò anche la sua pazienza fino a quando decise che non avrebbe più perso il suo tempo in questo futile affanno continuo quanto inutile, per di più partecipando lui per primo, in un mondo che non gli apparteneva più.
Tutte le volte che non ne poteva più, che non trovava un senso alle sue giornate, un senso alle cose : tutte quelle volte solo una cosa lo poteva aiutare, aveva bisogno di camminare. E, nel cercare d’identificare il suo pensiero, se non la ragione del suo malessere, sovrappensiero, riaperti gli occhi sulla realtà che aveva intorno, si ritrovava sempre seduto di fronte a un cimitero.
E là, un momento d’un giorno per ciò importante, l’immagine gli sorse chiara in testa: si sentiva morto, senza più ragione di vivere nel mondo, nella società. E là, seduto dov’era, era come se si fosse seduto, non ancora convinto della sua scelta definitiva di non vivere, su una panchina di fronte alla morte.
Restò a guardare per diverso tempo quelle varie tombe di marmo, uguali in ogni cimitero, come erano uguali le diverse persone che le abitavano, nel mondo. Erano le stesse persone che, in vita, erano ovunque intorno a lui, e non le avrebbe volute più, di questo n’era certo, una volta al cimitero; almeno non da morto.
Ma lui non voleva morire, voleva solo non vivere.
E quindi, sul suo divano: a sognare, con gli occhi chiusi, non per forza dormendo, ma almeno un mondo, che di tale nome fosse degno, dove finalmente aveva la vita che voleva, la vita che meritava.
A guardarlo in quei ripetuti momenti che ne componevano la vita: più che nel dormire, sembrava un inventore di sogni, intento al suo lavoro, concentrato con gli occhi chiusi, gli mancava solo la puntina della lingua tra i denti per l’impegno.
Tolte infatti le sortite funebri di cui sopra, Mario Rossi, non usciva mai di casa (ovviamente se non per quelle che erano le obbligazioni del vivere quotidiano, come fare la spesa pagare delle fatture ottenere un qualche documento, eccetera).
Se solo si fosse di più interessato a quella che era la società che viveva (o che lo viveva?), quelli che rappresentano i fenomeni d’un’epoca, le chiacchere di tutti i giorni, dell’attualità della società, avrebbe forse ritenuto di far parte di quel gruppo di persone, che vengono oggi identificate grazie al nome giapponese Hikikomori.
Letteralmente : “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku”tirare” e komoru “ritirarsi”. Hikikormori è un termine giapponese usato per indicare coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura.
Ma tutto ciò non poteva certo interessargli : a lui interessavano gli arcobaleni.
O, ancora di più, avrebbe lui dato adito a quella che è la polemica quotidiana che è diventata la narrazione della politica italiana, nient’altro che vuota polemica appunto, in cui lui sarebbe stato il perfetto esempio del fallito, che viveva sul divano grazie al reddito di cittadinanza…
Ma siamo seri, ma voi, l’avete mai visto un arcobaleno ?
Per Mario Rossi, la vita era tutt’altro, ben altro. I colori di un arcobaleno, l’odore di pioggia sull’erba, che al primo sole ne scalda le gocce, regalandovi il profumo, dell’attesa di quell’arco in cielo… tutto il resto… siamo seri:
ma che vita è, quella considerabile tale, che ci dà, obbligata a farlo, come gocce attraverso la flebo, il minimo essenziale per sopravvivere, per poter permettere quelli che vengono comunemente chiamati ‘beni di prima necessità’, se poi non possiamo fare, prima di morire, quello che realmente ci faccia sentire d’essere vivi, e che è, per il nostro ben vivere ed il nostro Essere, l’unico, vero, Necessario ?!
Come si potrebbe, in tutta onestà, dar torto a Mario, anche se ora lì, accozzato al suo divano ignaro sembra non preoccuparsi di nulla: con la giornata già da parecchio iniziata, i tram che seguono i binari, in ritardo come ogni giorno, e le formiche… non sente nemmeno la portinaia che fa il solito giro a far finta di pulire le scale.
Era ora scusate, si sta per svegliare ; e io, parole d’un sogno rubate, non posso che congedarmi da voi.
Buongiorno.
A. Mailhac 11 2019