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Se una volta Maria Antonietta d’Asburgo, durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane, avrebbe risposto : Se non hanno più pane, che mangino brioche!, oggi, per il nuovo giovane re di Francia, Manuel Macron, questa risposta non andrebbe più bene : La Francia ha finito il burro !
Da qualche tempo, come diversi giornali prevedevano già durante l’estate, i supermercati e le grandi distribuzioni francesi sono rimaste senza burro, lasciando spesso i propri clienti davanti a scaffali vuoti, con un cartello in cui si chiede scusa per la mancanza del prodotto.
E, se un segnale in questa direzione era stato dato a settembre dai panettieri e dai produttori di biscotti che avevano alzato i prezzi dei loro prodotti a base di burro, ora la carestia è in fine arrivata.
Diverse le cause che si sentono addurre per questa penuria di burro : la colpa è dei cinesi che hanno preso gusto a mangiare le viennoiseries (tipici dolci francesi in cui il burro fa da ingrediente principale) ; la colpa è degli americani che stanno sostituendo la margarina con il burro ; la colpa è dei nutrizionisti che tempo addietro hanno riabilitato il burro dicendo che non faccia poi così male alla salute… nonostante sia vero, ad esempio, che l’anno passato la produzione di latte sia stata in calo, per essere arrivati a questa situazione, non si capisce ancora di chi sia la colpa.
E se un paio di settimane fa Macron ha affrontato gli Stati Generali de l’Alimentazione, dicendo che ad oggi i prezzi sono troppo bassi spesso e volentieri per questa corsa alla liberalizzazione dei prodotti e per questo bisogno del consumatore di spendere sempre meno, tra le righe, si è potuto capire quale sia la causa principale di questa situazione.
La PAC (Politica Agricola Comunitaria) è stata una delle politiche comunitarie di maggiore importanza quando ha preso vita il progetto d’Europa Unita, impegnando ad oggi circa il 34% del bilancio dell’Unione europea. Fin dal suo inizio si era prefissata quattro obiettivi: Assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola e soddisfare gli agricoltori grazie al prezzo di intervento. Dare un prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dalla Comunità Europea. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di questo; orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando tecniche agronomiche migliori) ; stabilizzare i mercati ; assicurare prezzi accessibili ai consumatori.
Ora però, se i primi problemi iniziali di questa politica comune son stati nel tempo superati grazie all’istituzione della moneta unica, ad oggi, i problemi sono altri : i prezzi, in particolar modo, fissati per i singoli prodotti, che sono gli stessi per tutta Europa, privilegiano alcuni paesi a danni di altri, e questo perché i costi di produzione e le tasse relative ai vari stati membri sono invece differenti. Non capita raramente di vedere anche da noi in Italia servizi alla televisione, in cui produttori agricoli trovino più conveniente gettar via i loro prodotti piuttosto che venderli, evitando così’ di aggiungere le tasse oltre ai già alti costi di produzione, che tanto non verrebbero mai recuperati dal prezzo di vendita del prodotto finale, e questo appunto perché, se i prezzi finali del prodotto rimangono stabili, cambiano spesso invece i costi per produrlo come carburante, diserbanti e via dicendo.
E’ evidente quindi che queste politiche, che decidono la provenienza e la diffusione dei prodotti su basi di sviluppo e integrazione europea, non tengono conto delle singole situazioni locali ; e fintanto che i prezzi della manodopera o dei prodotti per lo sviluppo, o delle tasse, non saranno equiparati in tutti gli stati membri, bisognerà rivedere qualcosa di queste politiche, quantomeno a livello locale.
Macron infatti, pur non parlando in maniera diretta della provenienza di questi problemi, ha fatto passare come sue, alcune decisioni che per forza e senz’altro indugio sono da affrontare a livello europeo, per far sì, ad esempio, che i produttori di latte trovino ancora produttivo vendere il loro prodotto a chi ne fa burro e non solo a chi ne fa formaggio, e che il prezzo di vendita del burro ne possa permettere ancora la produzione ; gestendo soprattutto il fatto che, mentre i prezzi dei supermercati siano fissati una volta sola e a inizio anno per tutto l’anno, durante i 12 mesi di attività agricola non son poche invece le voci che fanno variare spesso in rialzo i prezzi (aumenti di tasse, del carburante…).
In particolare Manuel Macron ha insistito su due punti : ha progettato che i prezzi che sono pagati agli agricoltori lo siano ma sulla base del costo di realizzo, e che se su questa base poi i singoli distributori applichino il loro margine, e non il contrario come avviene adesso ; e ha proposto una rivalutazione della soglia di rivendita a perdita, ovvero un rialzo del prezzo minimo sotto il quale non si possa vendere.
Una cosa è certa: l’agricoltore, che sia grande o piccolo, non possa più vivere con 350 euro al mese, in Francia ma come in Italia, e qualcosa va fatto. Queste politiche europee che sono sicuramente state necessarie ai tempi del dopoguerra per permettere un giusto sviluppo dell’agricoltura europea di fronte i prezzi americani, sono diventate oggi nel periodo massimo dell’espansione della globalizzazione un’arma a doppio taglio per i paesi che già da tempo si dicano sviluppati e che non possono tenere il ritmo al ribasso dato dal consumismo e dai paesi emergenti. Basterebbe poi, forse, mia modesta opinione, che anche noi nel nostro piccolo reiniziassimo a considerare i produttori locali, vicini a noi, come culture, colture, e come localizzazione, andando a comprare direttamente dai produttori i singoli prodotti, evitando così tutta questa serie di distributori e logiche mondiali che per forza di cose incidono o sul prezzo finito alzandolo a scapito del consumatore, o sul prezzo iniziale abbassando troppo a chi lo produce.
*IMAGE: La famosa scena con il burro del film Ultimo tango a Parigi