La storia del gatto nero come la pece che
nelle notti di luna piena senza fortuna
con gli occhi gialli, di quel giallo che solo
esiste nei quadri degli impressionisti o per gli
impressionabili, nella terrazza di rugiada d’alba
si stendeva con il corvo nero di plastica – corvo
che in fin dei conti era il suo unico amico.
Non so se realmente so quel che dico,
ma uno allungato, l’altro appollaiato, lì
tra il felino e quell’esemplare di volatile
c’era un rapporto sincero e profondo, d’amicizia.
Ovviamente tra loro non parlavano, erano altri
segnali che indicavano quel legame: fogliame
marrone sotto ai rami dell’abete per l’ inverno.
Ci fosse stato almeno un essere umano
– ché il poeta essere umano non è – avrebbe
potuto testimoniare quanto vi sto per dire.
Il cielo opaco, gli occhi di un cane anziano,
aria pura e per questo fredda sulla pelle,
una musica in sottofondo al silenzio
dall’assenza dell’umano affanno.
Nascosto, il cane randagio che li osservava
dal basso capiva però, sapeva più d’ogni altro
ciò che gli in quel momento vedeva; mentre
la vedova ignara che serrava le persiane, ignorava
quello che quelle stesse stelle ammutolite
volevano gridare, con quelle non-parole: Amore!
Quel gatto nero e quel corvo di plastica, in realtà altro
non erano che semplici non-parole:
erano Amore.
*Friburgo 11 2020