L’inchiostro, una bottiglia e un tappo di sughero

Come arrivare sul bordo del mare
e provare una paura accecante
un terrore paralizzante
la paura d’annaspare e di annegare.
Immobili quindi
a fissare lo sciabordio
delle onde in quel limbo
del bagnasciuga, dove si perdono
tutte le certezze, le nostre convinzioni.
Irrequieti, dopo aver scorto la quiete
di quel paesaggio limitato
solo dall’orizzonte lontano.
Un’orizzontale linea cobalto
a perdita d’occhio, e un abito
troppo pesante che ci riveste,
quell’abitudine
del non voler restare
nudi con noi stessi,
che ci fa sentire
tutta la gravità di una forza
che non ci lascia abbandonare
la realtà, nemmeno per un secondo
nemmeno per un sogno.
Fino a che scompare persino
quella voglia, in quell’acqua
così fresca quanto pura,
d’immergersi d’immenso
fino a riempirsene.
Che farsene di tutto ciò
se in fin dei conti
restiamo sempre
semplicemente uomini.
Accampare scuse allora
un accampamento di compromessi
dirsi che sulla riva
non si sta poi così male,
ben asciutti e pasciuti
al sicuro sulla terra ferma.
Preferire restare in margine
ad osservare quei banchi di pesci
e di sirene, che riempiono tutto l’oceano
con il loro affannarsi e il loro rumore.
Quanto potrà pesare
un chilo d’oro in mezzo al mare ?
Quella voglia di lasciarsi andare
però, è più forte di noi
tuffarsi di testa come la penna
sul foglio bianco; lasciarsi cullare
da quel movimento infinito;
profondare la testa sotto lo zero
di quel primo numero decimale
che tutto vuole misurare
ordinare.
Sentire la Terra
nell’ovatta dell’acqua.
E poi andare, bracciate e bracciate
e bracciate ancora, poco importa lo stile
importa solo nuotare, prendere il largo
andare verso quel sole
che riesce comunque a scaldarci,
lasciarsi sopraffare
dalla placenta del mondo.
Quanti i frutti allora
da poter cogliere
per il metodico bracciante dell’Universo
in questo campo d’infinite gocce.
Costellazioni di parole, la saggezza
di antiche civiltà sommerse
come il loro significato
comprensibile solo a pochi: i pochi
che conoscono per esperienza
quanto possa essere profondo l’abisso.
Ammesso però che ci sia concesso
di arrivarci, il difficile sta tutto
nel risalire. Non è solo questione
di respirazione, ma l’intensità il ritmo…
Fermarsi, ritrovare l’equilibrio
tra uomo e natura, con i suoi elementi.
La mente sgombra
per tentare di descrivere
questa ritrovata leggerezza instabile.
Cercare di afferrare con le mani
in una presa sicura lo sfuggente
sbrilluccichio d’argentate squame
e le loro mille sfaccettature
sfumature, ombre e temperature;
facendo ben attenzione
a non confonderle con il riflesso
di banali e scoraggianti raggi di luna,
che in quel magma darebbero
certo un’altra luce, e non farebbero
la fortuna di nessuno.
Serve quindi, non tanto
l’esperienza di chi riesce
a stare sempre a galla,
quanto lo sfrontato coraggio
del solitario bambino curioso,
ché se la lingua dello straniero
si riconosce solo dalla voce,
bisogna tornare ad essere muti
come agli albori delle comunità,
per poter perdere finalmente
tutto il retaggio d’influenze
e preconcetti,
contenuti e non troppo celati
all’interno di un linguaggio.
Abbandonare
il punto di vista personale
può essere arduo
per chi sia abituato
a prendere solo un partito,
che non è mai il suo.
E Scrivere finalmente
la lista dei silenzi asserviti, ingialliti
come la pergamena che li contiene,
ché per imprimerla a futura memoria,
basterà l’inchiostro,
una bottiglia
e un tappo di sughero.

*Mailhac 1 Maggio 2020
*IMAGE: internet