Il beffardo ghigno dei gabbiani accompagna l’ingresso della luce nello stretto vicolo, che è in realtà una via: via degli Ibernesi. Al numero 7, al piano terra di un palazzo di più di mille anni, in quello che una volta era stato sicuramente il locale adibito allo stoccaggio del carbone per il riscaldamento dell’immobile e che è stato trasformato ad oggi in un appartamento per turisti, l’uomo giace nel suo letto, già sveglio prima dell’inizio di queste parole. Si è svegliato presto, troppo presto rispetto a quando avrebbe voluto, come spesso gli succede da un po’ di tempo a questa parte. Non sa dire se anche questa mattina è stato un’incubo a ridestarlo improvviso, lasciandogli un vago senso d’aver scampato qualcosa di brutto nell’aprire gli occhi, o l’improvviso affollarsi in testa di pensieri ingombranti sulle cose da fare in giornata. Fatto sta che, per quanto si potesse continuare a sforzare, era ormai già chiaro da un po’ che non sarebbe più riuscito a dormire. Nel buio della stanza, anche qualche uccellino avrebbe fatto di lì a poco il suo ingresso canterino per accompagnarlo in bagno alla ricerca di un bicchiere d’acqua. Ma questo succederà dopo, dopo che si sarà alzato e avrà aperto la finestra sul nuovo giorno che lo aspetta là fuori. Per ora, solo la risata di quegli enormi albatros di città, a cui fa ancora fatica ad abituarsi, nonostante siano diverse settimane che si è trasferito a Roma, riesce a penetrare tra le persiane della sua camera da letto. Aveva dato per scontato nel trasferirsi da un piccolo paese a picco sul mare per una delle più grandi capitali del mondo, che ciò avrebbe inciso, e non di poco sulla qualità del suo sonno; ma avrebbe anche voluto arrivare un giorno, e il più presto possibile, ad abituarsi ai nuovi rumori. Ancora non ci riusciva. Aperta la finestra, un’aria frizzantina lo accarezza, neanche troppo dolcemente: l’inverno, a Roma, lo si può sentire quasi esclusivamente molto presto la mattina, almeno per chi come lui è abituato a ben altre basse temperature per questa stagione. Per guardare il cielo, deve sporgersi e girare la testa per spingerla oltre il palazzo, che di fronte rende la vista sbarrata dalle proprie mura. In alto il cielo è sereno, di un azzurrino timido che col passare dei minuti però già sta prendendo coraggio.
E un altro gabbiano passa, trascinando ancora quella risata, come volesse accaparrarsi lui, fiero, il diritto d’essere riuscito a svegliarlo prima del tempo. A sinistra, la piazza del Grillo è già sveglia anche lei, percorsa com’è da diverse macchine che senza alcun riguardo ne calpestano i sampietrini. La chiesa dei Cavalieri di Malta, invece, giace lì, sempre misteriosa, come i racconti che accompagnano le vicende dei suoi proprietari. Piazza del Grillo: niente di più esemplare per raccontare Roma e la sua storia, in fin dei conti, quindi, per raccontare l’Italia: i cavalieri di Malta: il potere celato; il palazzo della nobiltà di una volta (il palazzo del marchese del Grillo, che per il nostro uomo porterà sempre i lineamenti di Alberto Sordi): il potere palesato; e il convento internazionale di sant’Agostino: il potere giustificato. Una rapida rappresentanza dei poteri da sempre reggenti dello Stato italiano e dello stato delle cose: potere celato, potere e palesato e potere giustificato. Certo, manca la mafia. Ma, con il termine mafia, si indica qualcosa che da poi non così tanto tempo può essere considerato potere reggente del Paese quando si parli di secoli e secoli: succederà in maniera, via via sempre meno nascosta, solo con la nascita della democrazia moderna. E comunque qui vicino c’è Suburra, che negli occhi dei più giovani rappresenta quel mondo di mezzo, in cui sono riverse tutte le sopracitate categorie, e non solo per la serie tv ispirata ai recenti fatti di cronaca. Cronaca di cui però a nessuno, qui adesso, interessa in alcun modo parlare, tanto meno al gabbiano ridens. La casa, dislocata su due piani, è ancora addormentata e a una bassa temperatura, che sarà ancora più bassa quando tra poco scenderà al piano di sotto per farsi il caffè. Nel fare la pipì però, intanto cerca di convincersi che dormire 6 ore, in fin dei conti, non è dormire poco; e si dice che magari avrebbe potuto dormire una mezz’oretta dopo pranzo, nel caso a metà giornata ne avesse sentito il bisogno. Sarà che si dice che siano 8 le ore -che poi dice chi?- le ore da dormire; ma a lui, in fin dei conti, 6 ore vanno benissimo. Ameno da quando ha smesso di fumare. Pur non vedendone il nesso diretto, sa che mai più sarebbe riuscito a fare le grasse mattinate di un tempo. Forse è solo invecchiato. Gli anziani, si sa, dormono poco e si svegliano di buon mattino. La sua faccia però, nel guardarlo dallo specchio, sembra volerlo convincere della necessità che avrebbe avuto, quantomeno per la sua pelle, di dormire ancora un po’. Chissà se mi rimane ancora uno yogurt, almeno per levarmi questa bocca impastata, che nemmeno l’acqua è riuscita a rinfrescare: devo smettere di fumare, prima di dormire, dimenticando poi di lavarmi i denti!
Le campane entrano dalla finestra, devono essere le otto oramai: il telefono dice le 7.53, ma del resto, religione e scienza, se non per brevi momenti e compromessi, non sono mai andati troppo d’accordo. Se invece che alle 2, si fosse riuscito ad addormentare verso mezzanotte, allora sì avrebbe dormito, più o meno, 8 ore. Ma pensarci ora non serve a niente. Oltretutto sa benissimo che, come non riesce più da tempo a dormire tanto la mattina, mai è riuscito, e questo da sempre se non per rare eccezioni, a dormire presto la notte. Il caffè avrebbe fatto sicuramente dimenticare presto tutti questi rimpianti per il sonno mancato. Nel preparare la Moka, l’uomo si rivede ancora, questa volta nello specchio vintage da bar, appeso sopra il lavandino: “Per trasgredire basta pensare”, dice la sua maglietta, usando parole di Philip Roth. In cosa egli avesse trasgredito quella mattina, non sa proprio dirlo; ma a lui, pensare -questa mattina ne è più certo che mai-, impedisce di dormire sereno. Chissà se un giorno, un altro uomo come lui, nel farsi il caffè la mattina, magari dopo una notte insonne, si sarebbe guardato in uno specchio e avrebbe letto sulla sua maglietta:
“Per smettere di dormire basta pensare”.
*Roma, 14 Gennaio 2021