Il Movimento 5 stelle ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia; ora è il partito democratico che dovrà permettere il famoso quarto voto per portare a casa la riforma. Ma siamo sicuri che tagliare il numero dei parlamentari sia una cosa così positiva per la democrazia?
Certo, il suo valore simbolico è inequivocabile: in tempi dove il ‘popolo’ è sempre più distante, diffidente e stanco di un’enorme classe politica che lo rappresenta sempre meno, ridurne il numero – e quindi i costi – è sicuramente un’azione carica di significato.
Il risparmio sarebbe di 57 milioni di euro all’anno, che è indubbiamente una bella cifra, ma che è in realtà pari allo 0,007 % della spesa pubblica. Altrimenti detto, forse basterebbe avere tutti parlamentari che adottino lo ‘stile’ dei M5s, ovvero l’obbligo auto-imposto di tagliarsi lo stipendio, è il risultato sarebbe un po’ lo stesso nel tempo.
Ma perché, se comunque si avrebbe un risparmio economico, grande o piccolo che sia, allora ci son partiti, in particolare il Partito Democratico, che si dicono scettici rispetto ad una scelta del genere?
Lasciando stare i discorsi di poltrona e le paventate paure di qualcuno di perdere il ‘posto di lavoro’, una spiegazione reale ci potrebbe essere.
Come noto, il nostro sistema elettorale è una combinazione di proporzionale e maggioritario. In particolare, al Senato – ove i seggi sono attribuiti esclusivamente su base regionale – la diminuzione dei parlamentari comporterebbe una più esigua rappresentanza dei partiti minori, specie nelle regioni meno popolose alle quali sarebbero garantiti non più sette ma solo tre senatori.
In tali regioni, sarebbero eletti soltanto i rappresentanti dei partiti più votati, con un evidente sacrificio delle minoranze. In altre parole si tornerebbe indietro, andando a riabilitare un sistema proporzionale come quello in vigore prima del referendum del 1993, ovvero senza modifiche uninominali di maggioranza. E in un momento storico in cui le masse sembrano sempre più unirsi in populismi di differente sorta, forse ridurre la possibilità di esprimersi per quelle minoranze che male si ritrovano nei grandi raggruppamenti politici potrebbe essere un bavaglio alla democrazia rappresentativa.
Una soluzione proposta da qualcuno per ovviare a questa possibilità, è quella di accompagnare la riforma costituzionale con una nuova legge elettorale, ma ricordando quanto ci è voluto in passato e con che risultati, è evidente che la cosa non sia così semplice.
Oltre che in un paese, ma a dire il vero il problema riguarda tutto il mondo globalizzato, dove le cariche politiche sono sempre più sotto il giogo di lobby di vario genere, ridurne il numero delle persone da corrompere potrebbe non essere una scelta così furba.
E quindi ?
E quindi, sicuramente risparmiare dei soldi che potrebbero essere utilizzati meglio e altrove potrebbe essere una bella cosa, ma sarebbe bene prima preparare delle difese contro le possibili contro i risvolti negativi di tale scelta.
Anche perché se si volesse tanto risparmiare, andare a votare, per esempio, sarebbe assolutamente da evitare. Il continuare a dire, come fa Salvini, che gli italiani vogliono tanto andare a votare, anche se poi è solo una sua opinione spacciata per quella di tutti presa su facebook, vorrebbe dire andare a spendere circa 340 milioni di euro e oltretutto per avere poi molto probabilmente una situazione non così diversa dall’ultimo voto, fatto neanche due anni fa (del resto, sembra che il leader della Lega non capisca che in Italia si vota ogni cinque anni e non ogni volta che un leader politico della maggioranza, che si accorga di avere una superiorità nei sondaggi, fermi tutti cercando di capitalizzare i voti dei cittadini, cosa che appunto sarebbe poi comunque a spese del popolo e non certo di tasca loro).
Staremo a vedere cosa decideranno…
A.