Questa pagina ch’oggi di più non può

Suona la sveglia.
Al contrario
della maggior parte delle volte,
questa mattina,
mi sento già sveglio,
penso di aver smesso di dormire
qualche minuto prima
che fosse l’ora.
Mi succede
sin dai tempi di scuola,
e oggi ancora,
quando ho qualche appuntamento
importante,
di regolare il mio cervello
qualche secondo
in anticipo sulla sveglia stessa,
non fidandomi fino in fondo, forse
nel più profondo del mio l’inconscio,
dell’apparecchio digitale.
Solo che oggi,
non ho niente da fare.
Come non lo avevo ieri,
come non lo avrò domani.
È parecchio tempo
che non ho qualcosa da fare.
Passo il tempo.
O, meglio,
visto che non lo passo a nessuno,
dovrei dire, lo butto via?
Mi sveglio,
perché suona la sveglia.
La notte, prima di dormire,
regolo la sveglia
tutti i giorni alle nove tranne la domenica,
per darmi una sorta di regolarità
delle abitudini,
l’aria di una persona normale,
che la mattina,
quando la sveglia suona,
si sveglia
si alza,
e va a lavorare.
Solo che io,
dopo essermi alzato,
-a volte anche qualche ora dopo la suoneria
perché una volta spenta
mi sono riaddormentato-,
non devo andare a lavorare.
Anzi,
non ho niente da fare.
Allora mi faccio il caffè.
Mentre la moka fa il suo dovere,
io mi giro una sigaretta.
Fumando il caffè,
dò un’occhio a cosa succede
nel mondo,
sui giornali sui social network,
fuori da questa finestra.
E non succede mai niente
di interessante, comunque.
A seconda della stagione,
e del tempo,
se la temperatura lo permette,
vado a bere il caffè
sulla sdraio in giardino
altrimenti
vado diretto in studio.
Guardo il disordine in giro,
le carte sul tavolo,
non trovo il computer;
una cappa di pesantezza
e sigaretta
avvolge ancora la stanza.
Apro la finestra.
E penso a cosa fare.
Poi, però, mi ricordo:
non ho niente da fare.
Allora leggo.
Leggo tre
quattro, cinque,
anche sei libri alla settimana.
E leggo,
alla fine,
tutta la mattina…

Andava fiero
camminando il sentiero
attraverso i fitti alberi.
L’orifizio del mondo
in cielo
voyeurs d’ogni giorno
lo spiava
cercare di nascondersi
invano
tra le fitte fronde.
Sudore sulla fronte,
non avanzava più
arrancava,
con le unghie
si afferrava
alle cortecce.
E le beccacce
a ridere, sornione
celate tra i rami.
Calava la luce
e salivano le ombre.
Sempre più profonde
si facevano le ferite
-sole e sale-
niente da mangiare
niente da bere…
Dove andare?
Dove dormire?
Ma non di risposte
di riposo aveva bisogno,
di consolare
le sue speranze mal riposte,
di confortare
lo strazio del suo corpo.
Orazio! Orazio!
Gridava alla Luna
Orazio! Orazio!
Gridava alla sfortuna
Ma già si faceva notte
e come rotonda è la botte
domani
sarà ancora giorno.
E allora
mia cara Principessa
che aspetti il tuo cavaliere
ore ed ore
a tessere la treccia
e a filare la maglia,
perdona questa pagina
ch’oggi di più non può.

*Mailhac 04 2020