Da queste elezioni, che presentano ora una situazione incerta per il governo del Paese, emergono comunque alcuni dati sicuri.
La sinistra italiana, dopo la guida di Matteo Renzi è sparita, incassando la più grande sconfitta della sua storia ; il Paese è diviso ora in due, con un nord a trazione leghista, ed un sud grillino, dove quasi un italiano su due ha votato il partito di Luigi di Maio.
Il popolo italiano ha dato meno peso allo spauracchio di un ritorno del passato, punendo con il voto una politica che per mesi ha coltivato il disprezzo per la massa, per i boccaloni che cascano nelle fake news, per gli “ignoranti su Facebook. E che, alla fine, hanno scelto dove votare, dando credito a chi proponeva una nuova visione per il futuro del Paese ed un possibile cambiamento di rotta e non solo in Europa. Arriva finalmente la dichiarazione di Matteo Renzi, creatore di questa sinistra arrogante e dai toni sempre violenti (di cui De Luca è uno degli esponenti più capaci) e che si presentava come unica possibilità di argine a tutti i mali ; lascia la guida del PD (cosa che secondo molti avrebbe dovuto fare tempo addietro), seppur restando finché ci sarà l’insediamento del nuovo governo, facendo sbarramento a qualsiasi accordo con chi non ha la maggioranza per formare governo, decidendo quindi lui d fatto la linea che nel caso prenderà il Paese, ed escludendo definitivamente il suo partito dai giochi ; partito che alcuni speravano provasse ad intavolare invece un discorso con il Movimento 5 stelle (ipotesi ventilata su tutti da Emiliano), cercandone di evitare un possibile accordo con la Lega di Salvini. Per alcuni un ultimo favore a Berlusconi, che di certo non è uscito vincente nemmeno lui da queste elezioni, e un ennesimo torto al suo partito se non all’Italia intera. Da lì nn si schioda finché può. E non sembrano esserci per lui nemmeno troppi motivi per esser triste : ha comunque quello che voleva vincendo il suo seggio in Senato (quello che voleva abolire), con la Boschi che trionfa a Bolzano fortemente appoggiata dai movimenti per l’autonomia (che aveva proposto in passato di abolire) e con il democristiano Tabacci che vince a Milano. Tutto il resto son rimasugli di sinistra, che porta a casa il solo vero buon risultato con Zingaretti alla regione, seppur per molti sarebbe stato meglio fosse proprio il governatore del Lazio a occuparsi della ricostruzione del partito piuttosto che continuare nel suo ruolo.
Il capitano lascia quindi la nave, dopo averne usufruito per i suoi scopi personali, e trasformato radicalmente l’identità, quando questa sta già affondando, dice per responsabilità. Non pochi trovano giusta la similitudine con Schiettino, in un Paese, che ha scelto invece i cosiddetti movimenti populisti, tra i quali appunto si era candidato il generale De Falco.
Cosa succederà ora nel Partito Democratico è tutto da decidere.