Nel leggere Annie Leclerc, dalla sua Parola di donna, emerge subito un linguaggio unico, nuovo, il suo; di donna quindi. E nel tradurlo, ciò che ha rappresentato una delle maggiori ‘difficoltà’ (e stimolo), è l’incredibile uso della virgola che fa; qualche uso ben calibrato di punto e virgola, quasi mai il punto. Un discorso, il suo, fatto di tono pragmatico e linguaggio poetico, rêverie e praticità, come per natura la donna…
Si pone molte domande, e non esita ad alzare la voce col punto esclamativo per qualche affermazione che esige almeno venga ascoltata, se non capita o seguita; sempre nell’ottica di un suggerimento però, un nuovo punto di vista, mai un’imposizione.
E così, una riflessione mi è sorta spontanea, visto che la sua Parola di donna, vero punto centrale di tutto il libro, è l’espressione appunto del bisogno di una parola nuova, che nasca dalla donna per la donna, ma che sia anche per gli Uomini tutti; da unire a quella dell’uomo per meglio esprimere una realtà troppo complessa per essere espressa da una voce sola, e per di più spesso sbagliata. Sbagliata, la parola dell’uomo, per volontà o per incapacità di immaginarne un’altra, poco importa; ciò che importa è che sia l’unica voce che da sempre parla, che si impone, azzittendo tutte le altre. Ma questo è il libro: non voglio farne la recensione.
Ma una riflessione, nata dalla sua punteggiatura. Che nella sua parola è caratterizzata principalmente da virgole, come se la virgola, che in un discorso normale ha tutt’altro minore rilievo, sia espressione della sua voce di donna.
La virgola come punteggiatura di donna; la virgola: la donna.
Di conseguenza, viene logico immaginare il punto come il simbolo dell’impostura imposta dalla voce maschile, incontestabile. Il punto non accetta altra frase che la sua.
Allora la punteggiatura rappresenta l’umanità tutta; e i Punti, il punto e la virgola, raggruppati per categoria, gli uomini e le donne; uomini e donne che insieme, infatti, vengono chiamati Uomini…
Quindi, la punteggiatura che ci insegnano, è la visione della società che ci viene da sempre imposta, è la Società stessa. Dove il punto è il pensiero dominante. I due punti, possono rappresentare il bipolarismo in cui al massimo i due punti hanno libertà di movimento, sempre allo stesso livello; bipolarismo che però può sempre e solo portare come conclusione all’imposizione di un punto unico.
E infine loro : i tre punti, la terza visione della società che mai è data, come concreta, quella che invece è la parte più interessante della frase, il non detto che a capirlo spiega tutto. I tre punti rappresentano una mancanza imposta, quel vuoto alla conclusione classica della frase costituita, non concessa perché pericolosa, in quanto quella che con un niente potrebbe cambiarne l’intero senso.
I tre punti nella frase come l’anarchia nella società.
Infine, per rendere la complessità della frase, sviluppando più punti di vista, dove una verità non escluda l’altra, bisogna ricordarsi del punto e virgola: la giusta complementarietà di due realtà, indipendentemente dal loro legame, unione del punto e della virgola, nel rispetto di due identità distinte che possono vivere benissimo insieme, pur nella loro diversità, all’interno della stessa frase; frase che così non subisce una perdita di senso dalla loro unione, ma anzi ne viene rafforzata, arrivando a descrivere meglio la complessità in cui vivono. Il punto e virgola come l’unione di yin e yang…
Perché ci insegnano che il punto necessita dell’importanza della maiuscola, e la virgola no?
Per esprimere l’inizio di una nuova frase dopo quella precedente? Direi di no:
per ciò, appunto, c’è il punto. e se il punto è un segno di punteggiatura, come lo è la virgola,
perché al seguito di ‘lui’, il punto, s’impone la maiuscola, mentre per ‘lei’, la virgola, no?
Quanto si cela della nostra società, del nostro modo di vedere la realtà, dietro quel piccolo e coeso
innocente punto
posso capire all’inizio degli inizi, per il punto originario del primo capitolo, o anche di ogni altro nuovo capitolo che rappresenti un cambiamento o un’evoluzione -ma non una ripetizione- rispetto a ciò che lo precede; nasce lo svolgimento del discorso… posso capire per un nome proprio, per la sua unicità; quantomeno per qualcuno… posso capire per quello di domanda, il più intelligente fra
i punti, così da rendere l’importanza della presunta risposta giusta… posso capire per il punto esclamativo, quel prepotente!, per rispondere a tono all’affermazione…
ma tra punto e virgola proprio non capisco la differenza, non ci dovrebbe, non ci deve essere…
Vera uguaglianza allora per questi due, uguali e diversi, segni di punteggiatura. per questi due Punti, il punto e la virgola; come per indicare l’insieme degli uomini e delle donne, si usa Uomini….
La migliore espressione della Punteggiatura è la complementare unione del punto con la virgola ?!
*da sottolineare come all’interno della frase costituita, l’importanza venga data al punto quando unico, ma se sono due equiparati no, come se si debba per forza arrivare alla sopraffazione finale di uno sull’altro; un terzo punto, addirittura, rappresenta una non-possibilità imposta…
il terzo punto, crea il caos nella frase constituita, rappresenta un vuoto…
*Roma 12 2021