Che mediocrità di spirito pensare che Cesare Pavese si sia suicidato per una sofferenza d’amore, o per altro futile motivo. Fosse anche per il tanto citato Mal di vivere, che però non può essere la ragione del metter fine alla propria vita, quanto piuttosto l’accettazione dell’inutilità della stessa. E proprio in qualità di accettazione della vita, per quanto futile possa sembrare, il Mal di vivere, porta in sé anche la non-decisione di darsi la morte.
Pavese era innanzitutto un’uomo determinato, con uno scopo ultimo che lo portava a isolarsi sempre più dal mondo e da quelle cose che agli altri sembrano spesso il fine stesso della vita; in fin dei conti, era un lavoratore; era un poeta, e da sempre voleva essere, uno scrittore. Persona molto sensibile, certo, ma per natura indifferente nel lungo tempo ‘alle cose della vita’: avrebbe sofferto per varie ragioni, e anche tanto, ma per tornare sempre poi più determinato a quell’obiettivo che tanto gli occupava corpo e mente, la Letteratura.
E allora perché piuttosto non pensare che, se non cosa premeditata – seppur il suicidio, molti suoi amici hanno testimoniato, fosse uno dei suoi argomenti più ricorrenti -, perché non pensare che Pavese si fosse convinto che bisognasse, nel voler raggiungere l’eternità come scrittore e voler entrare nell’Olimpo degli dei della letteratura, oltre ad averne le indiscusse qualità pratiche (date dai libri, dai suoi scritti e via dicendo), passare dal togliersi la vita terrena, al fine di avere quella eterna?
Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate pettegolezzi.
*Le parole scritte da Pavese prima di togliersi la vita
A tutti. Se muoio non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi.
*Inizio della lettera scritta da Majakosvkij prima di togliersi la vita
Le parole del suo suicidio, ricordano molto quelle di Majakosvkij: era quindi un gesto con una forte ‘ispirazione’ letteraria. Di parole, avrebbe potuto sceglierne molte altre e diverse. Avrebbe potuto -usando parole che dal suo diario hanno dato diritto a chi lo trovò di vederne un’importanza definitiva- far riferimento alla delusione per l’amore non corrisposto e finito male con la sua attrice americana (ma in un intervista X – poco importa chi, ma si può facilmente trovare l’intervista a cui faccio riferimento -, ricorda che nel chiedere a Pavese se soffrisse per questa cosa, la fine della storia con l’attrice, lui rispose che aveva troppo da lavorare per pensarci – poi l’amico dell’intervista dà il suo parere, dicendo che gli avesse risposto così solo per scansare la domanda: ma questa non è altro che un’opinione personale).
Avrebbe potuto far riferimento al successo raggiunto con il premio Strega, che come per ogni grande e vero ‘artista’, il raggiungimento del successo, è spesso più ragione di delusione che di soddisfazione. Ma no, Pavese utilizza parole evidentemente ispirate a Majakosvkij – non copiate : come ogni scrittore, anche qui nella sua ultima opera definitiva, si ispira e non copia. Anzi, proprio con la scelta di quelle parole, egli stesso chiedeva innanzitutto di non far pettegolezzi, di non attribuire sciocchezze alla ragione del suo suicidio (ma altrettanto evidentemente non avrebbe potuto dire mi suicido per diventare scrittore immortale). È stata al contrario, forse, in chi ne abbia ricercato le cause del gesto, la forte influenza della vita del poeta russo a far pensare ad una delusione: per un suicidio, tra l’altro, quello di Majakosvkij, che poteva essere benissimo nient’altro che un omicidio depistato… Al massimo la cosa che li legava, il poeta russo e quello piemontese, era il rendersi conto che la rivoluzione a cui avevano partecipato avesse portato in fin dei conti ad un peggioramento della situazione della Libertà. Libertà intesa come capacità evolutiva dell’Essere umano, libertà di pensiero contro il dominio di un pensiero unico (come Pasolini, in un certo senso, quando critica, poco prima che fosse ammazzato (…), il Consumismo, con bel altre parole, più dure ma più da sconfitto allo stesso tempo, rispetto a quelle usate in precedenza contro il Fascismo). Ché se si dice sempre che Cesare Pavese non volesse occuparsi di politica, ma in quanto scrittore con la S maiuscola, egli ERA persona politica in tutto il suo essere e agire e pensare, pur non occupandosene dichiaratamente…
La scelta del luogo e del momento, l’apice del successo raggiunto e la camera d’albergo dove qualcuno lo avrebbe subito trovato e con lui il biglietto (cosa che certo non sarebbe successa se fosse stato isolato come spesso faceva in un suo qualsiasi appartamento), fu scelta fatta, io credo, per avere una cassa di risonanza del suo gesto. Gesto che non avvenne certo in un momento improvviso di scoramento, in quanto diverse testimonianze lasciano intuire che egli sapesse quanto di lì a poco avrebbe fato: la testimonianza di Achille Occhetto, ad esempio, la cui famiglia lo aveva ospitato quell’estate, poco tempo prima nella sua casa al mare, che ricevette una cartolina in cui l’Autore lasciava ben trasparire un addio piuttosto che non un arrivederci e grazie, come normale immaginare in quella situazione; o il giro quasi di saluto finale che compì in quei mesi precedenti dai suoi amici più cari…
*
Dal suo testo LA CASA IN COLLINA :
Cap. VIII
– Prendi me, – le dissi. – Anch’io da ragazzo studiavo le scienze. E non sono diventato nessuno.
– Cosa dici ? Tu hai la laurea, sei professore. Vorrei saper io le cose che sai.
– Esser qualcuno è un’altra cosa, – dissi piano. – Non te l’immagini nemmeno. Ci vuole fortuna, coraggio, volontà. Sopratutto coraggio. Il coraggio di starsene soli come se gli altri non ci fossero e pensare soltanto alla cosa che fai. Non spaventarsi se la gente se ne infischia. Bisogna aspettare degli anni, bisogna morire. Poi dopo morto, se hai fortuna, diventi qualcuno.
Cap. IX
… il vecchio mondo si era ucciso da sé. Ma c’è qualcuno che si uccida per sparire davvero ?
*
Ma ancora più avvilente, fatta questa riflessione e trovandoci un fondamento di possibilità, sarebbe pensare che Pavese si tolse la vita per raggiungere la vana gloria (cosa che tra l’altro con lo Strega aveva già raggiunto) : a lui era altro che interessava, e non certo far parlare di sé.
Quanto questo gesto estremo dimostra invece, a volerlo vedere come io dico, il suo amore per la Letteratura, per l’Umanità intera, e non per le piccole cose degli uomini, come la vita appunto.
Come i giocatori aztechi di quella specie di calcio antico, che si praticava con una palla infuocata con cui centrare un cerchio sospeso in orizzontale – non ne ricordo il nome –, che si davano anima e corpo per vincere ; e il premio per chi vinceva era l’onore di suicidarsi.
Solo l’uomo moderno vede nel suicidio esclusivamente una cosa misera e la scelta ultima di una vita infelice – cosa che certo può succedere, ma non è questo il caso di forti personalità di successo, all’apice stesso del successo, come appunto Pavese.
Quanto invece il suo suicidio è Libertà e Coraggio. Quanta umiltà e non stupido orgoglio, per dare così il giusto valore alla vita. Il suicidio sancisce la superiorità della persona che lo compie, la quale sacrifica la sua vita terrena per un ideale superiore, con la coscienza che poco vale, in fin dei conti, quella parentesi più o meno breve -che si apre con la nascita e si chiude con la morte-, che è la vita all’interno dell’infinita frase dell’eternità. La scelta definitiva di essere lui l’autore di quella frase che lo riguarda, determinando, lui stesso e nessun altro, quando metterci un punto, il punto finale.
Certo, invaso da un sentimento di profonda amarezza se non addirittura rabbia, ora che riprendo a leggere LA CASA IN COLLINA, mi dico che Cesare Pavese non aveva davvero bisogno di compierlo quel gesto, e anzi avrebbe potuto, dovuto !, scrivere ancora altro e regalarci altra bellezza; che tanto, un autore che scriva libri così e versi come i suoi, dovrebbe entrare per diritto nell’Olimpo degli scrittori, anche senza suicidarsi.
Ma di questo lui, probabilmente, non era convinto.
“Ci vuole umiltà, non orgoglio… (per raggiungere l’eternità?) Non parole. Un gesto. Non scriverò più”
*Tra le ultime parole trovate scritte sul suo diario personale
*Testo da leggere con la giusta leggerezza (ma non superficialità) da attribuire ad un piccolo elogio che ho voluto fare a uno dei più grandi poeti italiani; non certo come dossier di un indagine o come voglia di dare qui una verità assoluta o come una mancanza di rispetto verso la morte, né in generale né di Pavese.