Svegliandomi

Svegliandomi, l’altra mattina, cercavo di trattenere un sogno che oramai già mi era fuggito via, insieme con il sonno. Che strana cosa i sogni, che uno prima fa e poi dimentica.
Il mistero dietro ai sogni è enorme; numerose le teorie ad oggi promosse per cercare di dar definizione e far sul luce su quella che è una delle attività umane più assurde: il sognare. Studi sull’inconscio, il sub-conscio dell’uomo, psicologia e psico-magia, scrittori e poeti e ancora pittori e musicisti, chi non ha detto la sua sull’argomento?!
Per quanti sforzi possa mai fare l’uomo, per quanti passi si possa convincere d’avanzare verso le verità assolute della sua esistenza, quella relativa all’onirico è, a mio parere, una di quelle questioni destinate per sempre a rimanere orizzonte lontano nel suo universo, sconosciuta perché irraggiungibile: una di quelle verità, di cui non si avrà mai una reale prova, ma al massimo uno sconosciuto e incomprensibile sentire.
Capire perché l’uomo sogni, o cosa il sogno sia, equivarrebbe a comprendere l’uomo stesso, chi egli sia, da dove venga: capire il sogno, sarebbe capire Dio.
Quello su cui però riflettevo, ancora a letto quando il sogno mi era già scappato via, era in particolare riguardo alla durata del sogno, la sua inafferrabilità, il fatto che difficilmente d’un sogno s’abbia al risveglio un ricordo.
Si dice che tutti sogniamo, ma solo alcuni poi ricordano. A me capita spesso di avere ancora immagini del sogno fatto durante la notte, ancora chiare, anche dopo essermi ben svegliato e alzato dal letto. Alcuni sogni sono ancora lì quando apro gli occhi, per diradarsi poi, piano piano come piccole nuvole in un cielo d’estate, non appena comincio a guardare la realtà che mi circonda; altre volte, invece, ricordo così nitidamente ciò che ho ‘vissuto’ durante il sonno, che ancora fortissima ho la sensazione, ancora più tardi a colazione, che tutto sia realmente accaduto.
Una volta ho sognato in maniera così realistica di perdere tutti in denti (forse erano solo quelli davanti; ma la sensazione della perdita la posso sentire ancora adesso, solo al pensarci, fortissima), che non appena aperti gli occhi sul giorno che iniziava, mi sono fiondato in bagno, davanti allo specchio, per verificare lo stato reale della mia bocca e del suo contenuto. Quello stesso giorno, mia madre ricevette una telefonata in cui le diedero comunicazione della morte, avvenuta durante la notte, di suo fratello maggiore, mio zio – ricordo in maniera così precisa i due eventi, di quello strano giorno, per la crudezza con la quale sconvolsero il bambino che ancora ero, e ancora di più dopo aver scoperto che, secondo l’interpretazione dei sogni – la perdita di denti/la perdita di un parente, i due sono fatti da mettere in relazione l’uno con l’altro.
Da adolescente poi, mi son convinto che se appena svegli si va direttamente davanti ad uno specchio, senza troppo guardarsi intorno nel percorso, e ci si guarda dritti negli occhi, si può ancora scorgere al loro interno qualche immagine del sogno appena andato via, e risalire, con uno sforzo che può diminuire nel tempo con l’allenamento, alla storia tutta.
Ma tralasciando il mio singolo caso personale, che, se inserito in una media mondiale, credo risulterebbe tra quelli con più alta percentuale di sogni ‘trattenuti’ al risveglio, credo si possa tranquillamente affermare una cosa: e cioè, che il sogno è qualcosa che ‘avviene’ all’uomo, senza che questi faccia niente direttamente per farlo accadere, e di cui, in linea di massima, nessuno ha memoria una volta aperti gli occhi.
È come se qualcuno si introducesse in casa nostra (il nostro corpo) quando però noi non siamo presenti (quando dormiamo appunto), che vi svolga dentro, nelle nostre stanze, nel nostro salotto, un’azione qualsiasi, che vi sviluppi una storia con personaggi e scenografie e tutto il resto; e che poi, repentinamente come solo noi introduciamo le chiavi nella serratura d’ingresso (apriamo gli occhi), il nostro intruso sparisca, immediatamente, senza lasciare nemmeno una traccia: questo è il sogno.
Una cosa che l’uomo fa, malgré lui, come preso da illuminazione, da una visione, e con nessuna finalità personale, tantomeno utilitaristica, in quanto proprio lui per primo non ha neppure ricordo di quanto fatto una volta conclusa l’opera. Quale forma d’arte più elevata del sogno?
Ed è proprio questa sua assoluta inutilità a fare del sognare il suo mistero, la sua impareggiabile bellezza. Quando l’uomo si dedica con tutta la passione che ha in corpo a qualcosa che all’inizio non può avere senso nemmeno per lui, facendone uscire fuori qualcos’altro, di cui prima nessuno avrebbe nemmeno immaginato la possibilità, e proprio così che l’uomo fa arte.
E non è quando l’uomo si dedica all’inutile, all’arte, che l’umanità tutta progredisce, arrivando a toccare ciò che una volta si chiamava il divino? Ma ancora di più, allora, non è quando fa arte, ma quando sogna, che l’uomo crea l’opera più elevata, e ciò proprio perché, al suo completamento, al risveglio, nessuno, nemmeno lui stesso, ne ha ricordo. Un’opera d’arte che si smaterializza al suo completamento.
Non ho potuto fare a meno di legare questa mia riflessione con una lettura che mi è capitata poi durante il giorno. Leggendo ‘Tu, sanguinosa infanzia’ di Michele Mari, mi sono imbattuto in queste righe: “Questa era un’altra delle leggi fondamentali dell’arte, ultima in ordine di applicazione ma prima dal punto di vista logico e ontologico: non potersi considerare ultimato e inverato il puzzle se non dopo il suo scioglimento, e precisarsi: il suo immediato scioglimento; e scendere per corollario: andare ogni istante di indugio, dopo la posa dell’ultimo pezzo, a detrimento del senso e quindi del valore dell’intera esecuzione, come cosa che avrebbe potuto metterne in dubbio l assoluta gratuità. Sulla coscienza di tale gratuità, pezzo dopo pezzo, si fonda il piacere e l’orgoglio dell’adepto, che in questa assenza di scopo purifica il proprio animo alleggerendolo del carco di durezze che nascendo sortiamo. Per questo si dovrebbe intraprendere un puzzle non per passare del tempo – che rimarrebbe comunque una forma di interesse e di giustificazione ab externo – ma solo per amore di tale cimento di se stesso, così come non sa cosa sia la lettura chi apre un libro per altro che non sia il puro piacere di leggere. E dunque codesta verità imparai da mia madre: che il momento più idoneo ad incominciare un nuovo puzzle è quando siamo oberati di impegni, nell’urgenza affannosa delle cose serie, delle cose sode: quale trionfo sul mondo, allora, dedicarsi a quella scientifica dilapidazione del tempo! Ma appunto perché l’inutilità sia perfetta occorre che l’operasi dissolva nel momento stesso in cui si completa e completandosi si reifica…”
Mari, parlando della sua esperienza nel campo dei puzzle, e dei ricordi d’infanzia relativi a quando svolgeva questa attività con la madre, ricorda come punto principale dell’attività stessa, il disfare l’opera non appena finita, subito dopo, senza nemmeno lasciarla intatta qualche tempo per poterla osservare. Esattamente come avviene per i sogni. Sogni di cui, tra l’altro, da chi ne cerchi ricordo nella nebbia del mattino o da chi ne voglia addurre spiegazioni o legami inconsci, vengono sempre analizzati a partire da alcuni suoi pezzi, alcuni oggetti o simboli o avvenimenti, che del sogno dovrebbero dare il senso generale, come i pezzi di un puzzle appunto.
Il sogno come puzzle del cervello umano.
Una scientifica dilapidazione del tempo… quale forma più alta d’arte e di libertà ?
Che allora, forse, non Dostoevskij o Majakovskij, non Picasso e nemmeno Giotto, non Robert Capa o Jean-Luc Godard, che non l’artista sia la rappresentazione di Dio sulla Terra? Ma che lo sia lo scrittore che ha pensato il romanzo perfetto, ma senza scriverlo? O il pittore che non ha mai fatto quello stupendo dipinto? O il musicista che non ha mai composto quella musica….. che sia chi abbia l’idea geniale, ma che poi non la mette mai in atto, (o che la mette anche in atto, ma per distruggerla subito dopo), a rappresentare il momento più alto dell’uomo sulla Terra?
Perché, se è proprio la bellezza che tanti immensi artisti si sono occupati a difendere e diffondere nel mondo, come il concetto di libertà: cosa di più estetico e libertario d’un pensiero che non serve a nulla se non a se stesso, senza alcun valore morale o utilitaristico, come l’albero da fiore rispetto a quello da frutto. L’uomo, come l’albero, è veramente libero quando può creare e dare il meglio di sé, senza avere l’ansia e l’obbligazione, per esistere, di dover produrre dei frutti.
L’uomo che, interamente conscio del suo appartenere alla terra, chiude gli occhi sulla realtà che ha intorno e si lascia completamente andare, si affida ciecamente a Morfeo e indifeso al sonno, per dormire, per lasciarsi andare all’imprevedibile: e, proprio in quel momento, l’uomo è Dio.
L’uomo, quando sogna, diventa Dio. Proprio quando smette di fare quello che altrimenti fa tutto il giorno, di ‘vivere’ la sua realtà, quando muore ogni notte, l’uomo crea la cosa più alta che egli stesso possa immaginare: il sogno. E che, allora, la morte non sia altro che un sogno, finalmente infinito, che, per una volta e per sempre, non venga interrotto dalla vita quotidiana?

*Mailhac 02 2020
*IMAGE: Francisco Goya – Il sonno della ragione genera mostri