Ultimum Folium – Racconto

Mattia_1050

Oramai ne se sono sicuro, non mi restano che poche ore di vita.
Posso dire d’esser soddisfatto della vita che ho vissuto? Credo di sì.
Anche se reputo normale che quando ci si renda conto d’esser vicini alla morte, non siano poche le cose che si realizzi d’aver tanto desiderato fare in passato e che poi, per un motivo qualsiasi, col tempo non si son più fatte.
Se dovessi ora pensare a quali possano essere per me i maggiori rimorsi di questo tipo, mi vengono subito in mente: buttarsi con il paracadute da un aereo e aprirlo solo all’ultimo momento; correre nudo per una grande città; e fare un figlio.
Queste le prime cose che elencherei immediate per una riflessione del genere.
Nonostante ciò, posso dire d’aver vissuto la vita che volevo?
Il più grande desiderio che mi accorsi d’avere, quando si ha quell’età per la quale si comincia ad essere definiti ‘adolescenti’ e nella quale ci si trova spesso davanti allo specchio a chiedersi chi siamo, io l’ho realizzato.
Quando mi si chiedeva cosa volessi essere nella vita o cosa ritenessi d’essere, la mia risposta era sempre sicura: lo Scrittore. Sì, sentivo e sapevo d’essere uno scrittore, già molto tempo prima che pubblicassero il mio primo libro.
Ed oggi, all’età di ottantotto anni, con pubblicati otto romanzi, quasi tutti tradotti all’estero, un premio Strega vinto e diversi altri prestigiosi riconoscimenti, credo di poter dire a voce alta: sì, sono soddisfatto della mia vita!
Deciso posso affermare che la mia vita non è stata un semplice torto alla Morte, come quella di molti, troppi uomini, che si scoprono infelici solo con il sopraggiungere dei loro ultimi giorni.
Ed è questa la ragione per la quale non ho esitazione alcuna ad accettare l’arrivo della Morte.
Morte, che è stata lei ad avermi fatto un torto, quando arrivata nella mia casa otto mesi or sono, si è sbagliata, e ha portato via Ambra e non me.
Con Ambra sono stato sposato quarantotto anni, per tutto il tempo che ho vissuto la vita che volevo: la incontrai la prima volta presso una delle tante case editrici dove portavo i miei scritti, nella speranza di vederli pubblicati. Non seppi mai se fu lei a portarmi fortuna allora: lei a cui consegnai il manoscritto, lei che mi telefonò per comunicarmi la decisione dell’editore di pubblicarmi. Ma di certo, quando poi la rividi alla prima presentazione organizzata per l’uscita del libro, capii subito di amarla. La subii dentro di me, subitanea, come non saprei neppure oggi spiegare; come una scossa, ricordo benissimo anche adesso, ebbi immediata, per la prima volta, l’impressione che ci poteva essere qualcosa a cui lasciare spazio nella mia vita, qualcosa d’altro che la scrittura, e, quella ‘cosa’, era sicuramente Ambra: anzi, senza di lei, la scrittura stessa sarebbe stata ad essere vuota.
Qualcuno potrebbe chiedere: perché non avete avuto figli allora?
Beh, perché quando ci siamo conosciuti, lei era già troppo in là con gli anni per averne o anche solo per pensare di farne. Io, magari, ne avrei anche adottato uno – non ho mai visto un figlio come la continuazione d’un albero genealogico, quanto piuttosto un seme da coltivare al meglio, sperando un giorno ch’esso sbocci in un bellissimo fiore, indipendentemente da chi l’abbia seminato –, per Ambra, però, non era questione di fertilità, ma do età: la stagione per quelli istinti era, sopratutto nella sua testa, già passata da un pezzo.
Ora che Ambra non c’è più, potrei scrivere di lei, ancora scrivere di lei, ma sento di non averne il tempo; e nemmeno la voglia: non mi sono mai piaciuti gli elogi funebri.
Attraverso i miei libri sento di aver detto tutto quello che avevo da dire. Attraverso Ambra, di aver vissuto quel grande Amore, l’unico della mia vita, che vada la pena di scrivere con la a maiuscola. Di tutte le donne nelle quali nel tempo mi sono imbattuto, solo lei è riuscita a trattenermi. Ma da quando lei, per prima, ha preso il largo da questo mondo, sono io, da solo, adesso, ad essere rimasto nella tempesta di questa solitudine.
Otto mesi fa, insieme ad Ambra, la Morte ha portato via anche lo scrittore che ero: quello che ha lasciato qui, che non è nemmen un uomo, sono al massimo pochi resti di un triste vedovo.
Quel giorno la vita è stata portata via dalla casa intera em d’allora, tutto, è solo attesa di morte.
Perfino la pianta sotto la finestra ha cominciato inesorabilmente, lentamente a morire: all’inizio pensai fosse solo una mia suggestione, ma poi mi son convinto che non poteva essere sempre solamente una coincidenza: ogni mese, a partire dal giorno della morte di Ambra, lo stesso giorno, mese dopo mese, la piantina ha cominciato a perdere una foglia alla volta, con macabra costante cadenza.
Non ricordo dove Ambra avesse trovato questa pianta: senza alcuna ricorrenza speciale, lei adorava recuperarne in giro per la città – piante che trovava abbandonate, gettate moribonde lungo le strade, e che lei riusciva poi a riportare in vita sempre più belle di prima.
È semplicemente una normale piantina da interno, senza fiori o frutti di sorta, con foglie spesse d’un bel verde deciso. Anonima.
Ma di certo, questa piantina, è sotto la stessa finestra da parecchio parecchio tempo.
A guardarla adesso, sembra più un’opera d’arte contemporanea che non un’opera della Natura: con quell’unica fogliolina che ancora le resiste attaccata, triste quanto tenace.
Non so poi per quale logica misteriosa, ma mi son persuaso che da quel giorno la lugubre marcia funebre della pianta, in realtà, serva ad abituare me al silenzio eterno, indicandomi così, di volta in volta, quanto ancora mi resti da vivere.
E oggi, se la pianta non ha deciso di cambiare le sue abitudini, finalmente sarà la Morte ad avere diritto alla sua ultima parola da scrivere su questo folium, l’ultimo foglio dello scrittore e l’ultima foglia della pianta.
Dopo aver terminato di scrivere quest’ultima frase, l’anziano scrittore posò la penna sul tavolo per rileggere quanto scritto. Arrivato alla fine, un brivido gli attraversò la schiena. Dalla finestra semiaperta, un gelido vento, portatore dei primi fiocchi di neve, fece irruzione nella stanza, attirando l’attenzione su di sé. Mentre una foschia malinconica e grigia stava avvolgendo ogni cosa, fuori i tetti cominciavano lentamente a coprirsi di bianco: quest’anno l’inverno era arrivato senza lasciarsi troppo attendere.
La sua mente tornò immediata al giorno del suo matrimonio, quando, contro ogni possibile previsione meteorologica, ci fu un evento di cui ancora oggi si parla: il giorno in cui erano previste le nozze del nostro protagonista e della sua amata, infatti, il quindici ottobre di un autunno qualsiasi, proprio mentre lei, appena scesa dall’auto d’epoca noleggiata per l’occasione, si apprestava ad entrare in chiesa scortata sottobraccio dal padre, d’improvvis, inaspettati quanto inverosimili fiocchi di neve cominciarono a scendere enormi dal cielo, come volessero partecipare anche loro alla bella cerimonia.
Distrattosi per qualche istante, lo scrittore ritornò con gli occhi alla piantina, alla quale da tempo dedicava tutti i suoi sguardi. La pianta era sempre là, ma… Non poteva crederci! Guardò meglio; si strofinò gli occhi; spalancò la bocca come per gridare a perdifiato, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un refolo d’aria: l’ultima foglia era caduta, e lui, dopo tutto questo tempo, si era perso quel momento.
Non ne fu amareggiato, nemmeno si arrabbiò: semplicemente mise il tappo alla sua stilografica, si alzò, e si diresse verso la camera da letto. Nel dirigercisi con passo solenne, quasi seguisse ancora il suono della marcia nuziale che poco fa gli risuonava in testa al riemergere dei lontani ricordi, si fermò davanti allo specchio in anticamera. Nello specchiarsi, vide ancora immagini di un tempo oramai indefinibile: seppure in quello specchio la sua immagine era normalmente riflessa, il suo volto non era quello di quel momento, ma quello di decenni addietro, ringiovanito e bello. Si vide esattamente come quando si guardò ai tempi del coronamento del suo amore, pochi istanti prima di dirigersi verso la chiesa, quando si controllò un’ultima volta prima di uscire di casa
Senza chiedersi il perché, si vide, non come ogni giorno passava vestito le sue giornate in casa ovvero in pigiama e vestaglia, ma elegantissimo, con indosso l’abito del suo matrimonio.
Si sistemò rapidamente i capelli con le mani, senza abbozzare alcun sorriso; con il viso privo di ogni espressione, spense la luce, e si diresse con passo grave verso il letto.
Ci si sdraiò sopra e fece un grande respiro; e senza pensare più a nulla, chiuse gli occhi. Per sempre.

 

*Andrea Giramundo Roma 12,2018

*IMAGE: Opera di Gianluigi Mattia