CARNET BRNO – I – su POESIA ULTRACONTEMPORANEA di Sonia Caporossi

Mi ci sono imbattuto per caso, e me ne sono subito innamorato.

Ho così deciso di viverla per qualche tempo:

sto parlando della città di Brno, in Cechia.

Come spesso mi succede, mentre vivo qualcosa, ne scrivo.

Su Poesia Ultracontemporanea di  Sonia Caporossi

il primo testo di questo mio nuovo inizio 

Comincia qui, così
una nuova vita?
Arrivo a Brno
nel pieno dell’autunno

un tenue lucore
in cielo mi accoglie
(lucore: che parola
desueta, ma anche
desueta è una parola
desueta. Come altro
definire questo cielo?)

Arrivato da Roma, il vento
del nord mi accoglie deciso
appena arrivato, non sono ancora
abituato a queste temperature.
Lo sarò con il tempo, spero.
Dove mi trovo? cerco
di capire dove sia
la strada indicata da Luis
il ragazzo messicano con
il quale per due mesi vivrò:
un messicano, a Brno.

Il telefono mi dice che sono
vicino: 600 metri a piedi
mi avvio, zaino in spalla
(ho da sempre un odio profondo
per le valige con le rotelle:
viaggiare insegna a vivere
insegna a portare con sé
quello che vale la pena di portare
con sé, quello che si riesce
a portare: ma con le rotelle
è come barare), verso il centro
mi avvio per trovare la mia
camera ammobiliata a prezzo modico
dove per due mesi vivrò.

Con lui, Luis, ho parlato un sola volta
quando mi ha mostrato l’appartamento
in videochiamata: sembra
simpatico, lui, Luis – non l’appartamento –
ma in fondo ciò che conta
è l’appartamento.

Anche se da tempo sono convinto
di non avere più l’età – è la voglia
che mi manca, più che l’età –
per vivere con uno sconosciuto
adattarmi ai suoi difetti, alle sue abitudini
quando ancora non ho imparato a vivere
con me stesso – e onestamente penso
mai mi sarà possibile.

Mentre penso arrivo
all’indirizzo esatto: numero civico
666 – che diavolo di edificio:
scopro che vivrò dentro una specie
di centro commerciale – Vedi la galleria dei negozi?,
mi risponde al telefono Luis,
L’attraversi tutta fino in fondo, ti troverai
di fronte una grande porta
di vetro, ti aspetto lì, fermo.

Arrivo e vedo la porta e lui
Luis è proprio un messicano fatto
e finito – fisicamente almeno
ne ha tutte le caratteristiche
anche senza sombrero.

Mi sorride e mi aiuta
tenendomi aperta la porta
mentre mi indica le scale
da salire, un piano e sono
arrivato.

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