Pubblicazione di 5 testi su SUITE ITALIANA di Ilaria Palomba

Pubblicazione di 5 testi

su SUITE ITALIANA di Ilaria Palomba

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I Testi:

LA NOSTRA PRIMA NOTTE DI PIOGGIA

di pioggia la nostra prima notte
è servita a lavare la mente
dai ricordi come nodi non sciolti
a schiarirla, con i lampi che
hanno assecondato il nostro
silenzio, finché addormentati
ci siamo risvegliati col sole,
abbracciati, nei nostri sorrisi.

***

FIORE INSORTO DAGLI ABISSI

Grattacieli grotteschi e marciapiedi
sudici, barboni
ubriachi che dormono
in strada, macchine
ovunque. Uomini pochi
d’umano il Nulla.
Cimiteri di neon:
allegri zombie ipnotizzati
deambulano in centro.
Ai loro piedi, un tombino;
accanto, rivoluzionaria (!)
umile testarda: una margherita
che resiste alla muraglia
del cemento. Una ferita
colore che degrada il grigiore
castigata al bordo di una via.
Fiore insorto dagli abissi
sei della modernità la poesia.

***

DEL RESTO NON SI TRATTA D’ALTRO CHE D’UN SOGNO

provo a scrivere qualcosa di simile a quello ch’è stato,
onesto: un suono, più che un vero e proprio testo
ma già mi scappa di testa quel vago concetto
che queste parole dovrebbero esprimere
e cercando di reprimere la rabbia, scrivo
insiemi di lettere che non vogliono dire niente
pur essendo magari tutto, sono forse solo un sogno:

un vetro che s’incrina dietro a un colpo
frammenti gialli e rossi; non più di dieci
amici sconosciuti fanno shopping; io
mi rendo matto per trovare un senso a tutto
ciò che mentre sento non trattengo
e più ci provo più mi sfugge via; e
anche se chiudo gli occhi non vedo
quello che poco fa era così chiaro: ora
non saprei più come continuare… Poi

credo di ricordare un indistinto orologio
grande antico e grigio, il fumo dei treni
e la gente… ma non mi torna alla mente
niente: quei volti non li riconosco,
ancor meno dove mi trovo: che legame con
quest’anello che dovrebbe darmi certezze
e sicurezze… per quale scopo poi ignoro.

Del resto, non si tratta d’altro che d’un sogno

 

***

PER LA STRADA

perché io so
cosa vuol dire Essere
figlio di Dio e rinnegato
figlio di puttana
nella solitudine
Padre
perché mi hai abbandonato?
Crocefisso per troppo amore
Ti uccidono quelli che ami
sgocciola sangue sulla Terra
Bacia i piedi di chi sa camminare
nella vita, ama l’ultimo
perché diverso, e con versi scrivi
la risposta alla domanda che non hai
Musica il vociare della gente, senti come
strumenti che suonano al vento
Tormento e tormenta l’onda, che s’abbatte
contro la pietra: l’uomo è pietra
sasso che rimbalza sul lago
lanciato da chi non si sa
Scoglio sul quale s’infrange l’onda
il flutto, fluire dell’onda, montagna
russa decidendo il tempo del tuo respiro
e apprendi a respirare: la respirazione
vale più di tante religioni. Conoscersi
conoscere, amare imparare: difendi
queste lettere come stelle del Chaos
Universo che vale meno di un verso
e autobus a spegnere le stelle
mentre scorre il motore
una linea nello spazio
nel silenzio nel tempo

Per la strada.

***

DITTICO ROMANO

I.

Mi siedo sui gradoni del palazzo delle esposizioni
e per il sole e perché la gente che qui s’avvicina
è attirata dall’arte – non certo dalla mia persona.
In alto, alle mie spalle, due enormi bassorilievi
del palazzo sono le prime opere esposte alla vista.
Nel guardarle ora, evidentemente non recenti
mi dico che in fondo l’arte è sempre contemporanea
mentre la si guarda. Nel centro, dice un gigantesco
pannello, che la quadriennale d’arte è terminata
da un paio di settimane: e sebbene moderne
quelle opere, già oggi, non sono oramai più contemporanee.
Alla fermata dell’autobus mai vista così poca
umanità. Mascherine abbandonate sospinte dal vento
attraversano la strada. Surfiste orientali sfrecciano
su monopattini elettrici. Lui che aspetta da un po’
sembra la statua di una sentinella, annoiato ma
fiero, lei arriva delicata e dà alla bicicletta legata
al palo quei due buffetti veloci che a lui non può
dare -i gesti barriera-, alla trombetta e al manico
destro del manubrio, marrone scurito dal tempo.
Una suora di colore affannando dietro a una
mascherina bianca alza gli occhi alle palme
della strada: sentirà il mal d’Africa? La fortuna di
quel gabbiano che può vedere da vicino non visto
quella terrazza che vorrei vedere anche io, bianco
roof-top. Affacciata una principessa solitaria fuma:
aspetterà nervosa il suo cavaliere volante? Passano
tre cappelli diversi tra loro, uno è di cadetto,
un’altro da marinaio, l’ultimo da credo alpino.
Una medusa abbronzata appoggiata al rosso di
un lampione, attira la mia attenzione, senza vedermi.
Ora, quattro operai tornano al lavoro vicino a me
per restaurare questo splendore, non hanno più
la bellezza di una volta: il cappello di giornale,
il gran panino con la frittata e la birra da un litro
sono stati sostituiti da vistosi occhiali da sole.
Nel mentre passa un’appariscente dama zebrata
dagli sguardi sospirati con i muratori, intuisco
uno strano legame tra loro. Le vetrine dei negozi
alla moda, che tanto abbassano l’eleganza
della via, sottolineano ulteriori ribassi: fino il 70%.
L’orologio da strada, avvolto nel cartello di una
pubblicità di Mc Donald, è fermo sull’ora di pranzo
che marketing ben studiato! Il cielo si annuvola
e mi si annebbia la vista, ho fame e mi alzo.
Prima però giro una sigaretta: liberamente è
l’ultimo modo di respirare mentre si cammina.
Incrocio impiegati annoiati, che parlano di Draghi
Arrivato mi siedo a Monticiani, l’argentino mi porta
carni e vini valorosi del suo lontano paese, mentre
al tavolo vicino, un francese distinto per la sua
elegante penna, disegna sul retro della tovaglietta
pinguini infastiditi dal rumore ch’erutta dai tavoli.
Alla mia destra si siede una ragazza che un libro
pesante appoggia sul tavolo -prima d’andare in bagno,
ascoltata la direzione-, “Storia d’Italia”: questa è Roma.
Quando torna, dietro la sua maschera vedo
che nascondeva rosse labbra da voglia d’incontro
nonostante stia chiedendo acqua, né olio né sale
solo acqua pura, anche del rubinetto.
Deve essere una studiosa se non una scrittrice
lo capisco dal suo essere indifesa al di fuori dei libri:
con sé, oltre al manuale, una sacchetto di farmacia.

II.

Come farà quell’altare di questa patria
a resistere sempre bianco immacolato
nell’infinito risorgimento di un continuo
Campidoglio, casa d’inquilini sempre
uguali a loro stessi. E mentre in basso
sul viale, le statue salmastre guardano
la gente passare, celano un sorriso
dietro a chiuse facce di bronzo, per
la di loro attenzione a quelle vane
pietre, simbolo di antiche civiltà,
dimenticandone così la caducità:
decadenza e mortalità – futilità?
Ché altro non sono, quelle pietre,
esempio vivente di questo assurdo
stratagemma dell’Uomo: la Storia.
Pietre, che al contatto con il sole
d’oggi, non liberano che lieve vapore
dalle piogge di ieri: ricordano quasi
una vaga polvere nostalgica.
Ma tranquilli comunque i grifoni
continueranno a custodire il tesoro
di Dio, fintanto che Ercole e Apollo
come uomini comuni si contenderanno
il possesso del santuario di Delfi;
mentre la penna ne disegnerà la realtà,
solitaria, al foro di Traiano.

***

OGGI LE PALE EOLICHE SONO IMMOBILI

Oggi le pale eoliche sono immobili
in questo blu di cielo terso, sono io
a cogliere il movimento, e decido di
camminare : qualcuno lo deve fare.

In alto, una nuvola a forma d’arco
mi ricorda che siamo tutti frecce :
che giacciono ignave, o scagliate
lontano, centrando il bersaglio o a lato
del quadro. In paese, l’uomo che non è
al lavoro, s’industria : un muro da finire,
una pietra da rompere, legna da tagliare…
rumore. Io vado nella direzione opposta,
nel silenzio, a trovare fiori alberi uccelli
i cavalli e le farfalle. E le vigne…

Tornando verso casa, non sento più
il battere incessante, ma un pianoforte
che mi saluta affacciato alla finestra :
sembra Debussy. E io sorrido, rientro
mi siedo e scrivo.